sabato, aprile 02, 2011

Aprile. L'album di Marco Paolini.

Aprile è un mese che arriva ogni tanto, non sempre. Aprile è un vento che spoglia l'intonaco vecchio delle case, e le pulisce col sole dall'umido invernale. E' un vento che entra dalle porte dei bar, strapazza Gazzette e Corrieri, fa starnutire i giocatori di carte e solletica le chiacchiere tra i caffè e gli amari del dopo pranzo. L'Italia è una Repubblica democratica fondata sui bar. Aprile sembra essere uno dei pochi mesi in cui si placano i discorsi sul "troppo". Troppo caldo. Troppo freddo. E' il tempo degli inizi, in cui si mette da parte l'abitudine e per un attimo ci si lascia sorprendere dal fervore dei progetti, ancora una volta piacevolmente impreparati alla primavera. Le coppie riconquistano le panchine nei parchi, i motorini sembrano allacciati ad un guinzaglio, in ruspante attesa dei padroni fuori dalle scuole. Marco Paolini è riuscito a prendere quel vento, rinchiudendolo in uno spettacolo dove sono intrappolati i mille colori delle nostre primavere. Lo spettatore viene accompagnato in un cammino difficile, riassaporando quella strana sensazione di crescita fatta di amori, amicizie, cronache amare e palloni ovali. Non è un caso che il rugby sia la metafora ideale per descrivere il duro passaggio dall'adolescenza all'età adulta. Terra, fango, botte, abbracci, terzo tempo e spogliatoi sudati. Non ci si può non immedesimare in questo racconto, dove l' umorismo e la prosa condita dalla musica del dialetto veneto, rendono irresistibile la narrazione sempre vivace e appassionata. I tempi delle storie sembrano lontani, ma le province hanno tutte una carta d'identità molto simile, nonostante le sfumature regionali. La provincia, con tutti i suoi mali, ha sciolto le ali di chi voleva andarsene, ha costretto le menti a inventare nuovi giochi, in un nocciolo di affetti che custodisce il cantiere del nostro presente.

Pochi autori come Paolini hanno saputo raccontare la realtà del nostro paese. E non è un lavoro da poco veder sostenuto un caleidoscopio di contraddizioni, tutto sulle spalle di un solo uomo. Assieme ad altri due maestri della parola, Celestini e Bergonzoni, fa parte di una ideale triade di innovatori del teatro italiano.
Tre moschettieri che hanno saputo diluire le nostre vite, distillandole sapientemente sul palcoscenico.

Quando ero piccolo, non avevo idea di cosa ci fosse fuori dal recinto dei miei sogni. Il microcosmo della vita aveva un confine segnato dalle biciclette e dalle ginocchia sbucciate. Aprile entrava dalle finestre aperte della scuola, e la foga di non volersi perdere nulla mi costringeva a sbrigare i compiti sulle scale di casa mia. Ci sono stati tanti Aprile che la memoria ha chiuso tra ricordi troppo lontani da poter rileggere chiaramente. E poi è arrivato "Aprile" di Marco Paolini, le sensazioni si sono mescolate a quelli dello spettacolo teatrale e i miei amici hanno preso i contorni di quelli dell'"Album".

L'odore di botte e limoni adesso è anche quello dei  ricordi delle mie primavere.
Fuori c'è Aprile. Perderlo sarebbe un vero spreco. Esco.

Alessio MacFlynn

lunedì, marzo 28, 2011

"Sicut nox silentes"


Sono disposto a giurare sulle Sacre Scritture che il proposito iniziale fosse quello di utilizzare questo sprazzo di eternità in cui sembra essersi acuita l'inimicizia tra me e il sonno per scrivere qualcosa che fosse realmente degno di nota, ma, l'ingannarsi è più difficile di quanto sembri, e il presentimento sulla banalità di quanto andrò a scrivere e la cognizione di aver deciso di farlo per pura necessità (la notte, quale che sia il modo, va trascorsa) non sembra lasciarmi scampo.

Spero di smentirmi strada facendo.

La frase utilizzata nel titolo, che, in questo caso, vuole non rimandare all'ambito militare in cui generalmente è utilizzata, serve semplicemente da introduzione per ciò di cui andrò a parlare: la debilitazione psichica da notti insonni quando gli unici rumori che senti sono quello di fondo proveniente dall'appartamento sovrastante in cui abita una simpatica vecchiarella ancora convinta di poter andare in monopattino alla sua veneranda età , e quello incessante del tuo cervello che, stacanovisticamente, non sembra volerti dare tregua.

Se fossi Luciano Onder, con quella sua voce da chi ha subito un innesto di citofono nelle corde vocali, e quel suo modo di porsi talmente odioso da non far temere il confronto neanche ad una colonscopia, vi starei già snocciolando le cause fisiologiche di questo irritante contrattempo notturno.
Ma siamo gente stilosa, quindi, la prenderò sul filosofico.

Sapete che il cervello fa rumore? Lo diceva anche il Pennacchioni in Diario di scuola: "un pensiero fa rumore".
Ed è un rumore che, quando non sovrastato dal frastuono del tran tran diurno, diventa più insopportabile di un Boeing 747 che ci decolli vicino.
Un rumore dal quale non ci si può riparare tappandosi le orecchie, perché è proprio da dentro le orecchie che nasce.

E così, ci si ritrova in piena notte a fare i conti con tutto ciò che si è fatto fin lì.
Ci si ritrova a pesare con la propria bilancia morale "più" e "meno" della pagella del "bravo ometto", e a scoprire che. ad ora tarda, questa bilancia diventa mal tarata, propendendo irrimediabilmente per il peggiore dei due giudizi.
Una sorta di processo in cui si è chiamati a rivestire tutti i ruoli: l'avvocato dell'accusa con la sua incalzante arringa; un avvocato difensore al cui confronto Lionel Hutz sembra Perry Mason; la giuria e il suo giudizio impietoso.

E sapete qual'è la pena comminata? Altri conti;nuovi pochi "più";nuovi molti "meno"; nuovi giudizi impietosi

Ma poi, sul far del mattino, tutto sommato, si rinsavisce.
Ci si ricorda di essere semplicemente una persona a tratti troppo esigente con sé stessa, e si comprende che il dubbio su quale strada intraprendere non è specchio del non sentirsi tagliato per nessuna, ma lo è della consapevolezza di volerle percorrere tutte.

Qual'è la soluzione a questo tormentoso inconveniente??? CLOROFORMIO!!!

Massimo McMutton

Radio Sashimi.


Terremoto in Giappone, allarme radiazioni, guerra in Libia e Bocchino che si fa la Carfagna.
Non è un bel periodo per nessuno.
A meno che non pesi duecento chili e fai un editoriale dopo il Tg1 con i piedi immersi in una cheesecake.

Allora, Giappone. I grattacieli non avevano ancor smesso di tremare, neanche fossero gelatine in "Nove settimane e mezzo", che subito è partita l'ondata di solidarietà da tutto il mondo occidentale, così pura e sincera da far rimpiangere un altro tsunami.
Aver messo la bandiera del Giappone come profile picture su facebook non vi assolverà dal disgusto che provate per il wazabi.

Questo è il mio piccolo test: se dopo il terremoto avete pensato di lasciare la mancia al sushi bar o provato simpatia per Nagatomo siete solo dei piccoli Berlusconi che, in riunione con Chavez, chiamano al telefono la Yespica.

Per fortuna esistono gli Stati Uniti, altrimenti saremmo il popolo più provinciale dai tempi dei Peucezi; antico popolo murgiano celebre per non cancellare mai la cronologia dal pc.

Ora non vorrei ridimensionare una tragedia di simili dimensioni ma, ad essere sincero, non sono tanto gli oltre diecimila morti ad avermi traumatizzato, quanto il fatto che Yoko Ono sia ancora viva.

Come se non bastasse, lo tsunami fa saltare in aria uno ad uno i reattori di un'innocente centrale nucleare nel nord del paese. E via di seghe mentali sul pericolo nucleare in tutto il mondo, come se il tuo docile barboncino avesse appena staccato di netto la testa a un neonato. "Ma il nucleare è una tecnologia sicura!", e finché lo dice la Prestigiacomo imitando un ventriloquo io ci credo.

Poi arriva la terza guerra mondiale e l'Italia chiama lo schema: cambio degli alleati e contropiede. D'altra parte Pozzo ci ha vinto due mondiali.

Mentre Gheddafi decide di fare un supplì degli insorti, Sarkozy indossa l'uniforme sadomaso delle grandi occasioni e Obama si inventa un improbabile appuntamento dal callista.

In tutto ciò Berlusconi, che aveva offerto troie in umido al leader libico fino all'altro ieri, si improvvisa mediatore infilando le braccia nel culo di Frattini e La Russa.

Dicevo di Sarkozy, l'uomo che rivendica gli interessi commerciali in Libia attualmente in mano all'Italia solo per aver fatto smettere di cantare Carla Bruni.
La verità è che ci manca uno scimmione repubblicano che decida autonomamente di bombardare Addis Abeba, così per diversivo.

Tra una bomba e l'altra un sosia a caso di Gheddafi si fa largo tra gli scudi umani e minaccia l'Italia di terribili vendette, come lo sbarco di migliaia di immigrati sulle coste siciliane e il ritorno sui campi da gioco di Saadi. Questo è quello che succede quando si fanno affari con uno stronzo, che è anche la spiegazione della sentenza del processo Mills.

La Libia per anni ha concesso un canale preferenziale petrolifero alla Eni, ha bloccato l'afflusso di immigrati verso l'Italia ammazzandoli prima e dato alla luce Franco Califano.

Sono certo che i Peucezi avessero amici migliori, tutto il resto è sashimi.

Andrea McManaman