giovedì, aprile 07, 2011

Schopenhauer, la politica, e l'arte di frodare le menti.


"Dico ego, tu dicis, sed denique dixit et ille. Dictaque post toties, nil nisi dicta vides"
(Lo dico io, lo dici tu, ma, infine, lo dice anche quello. Dopo che lo si è detto molte volte, nulla vedi se non quello che è stato detto).
Goethe. Esergo alla "Parte polemica" della Farbenlehre

(Ammetto di aver dovuto cercare la parola "esergo").

Ho appena terminato la lettura di un trattatello di Arthur Schopenhauer dal titolo L'arte di di ottenere ragione esposta in 38 stratagemmi.
Non nascondo di essere nuovo alle letture filosofiche, ma il testo in questione, per la sua chiarezza espositiva e l'argomento non particolarmente complesso, ha suscitato in me un grandissimo interesse.
Tentando di spiegare in breve di cosa tratti, lo si può recensire come un testo necessario a tutti coloro che intendano non "perire" nelle controversie dialettiche.
Infatti, i 38 stratagemmi altro non sono che la stesura formale di tutti i trucchetti più o meno leali che le persone mettono in atto pur di non uscire con torto da una discussione.
Come dallo stesso autore sottolineato, egli non si propone di essere originale, ma la sua vuole essere una sintesi organica di quanto detto da altri grandi pensatori, con l'aggiunta di variazioni sul tema finalizzate all'approfondimento, ed esempi presi dalla sua esperienza
Molti sono, infatti, i riferimenti ai Topoi di Aristotele, al Faust di Goethe, a Machiavelli, e ad altri.

Il titolo della prima pubblicazione del trattato (avvenuta dopo la morte dell'autore) era Eristik (Eristica).
L'eristica, o meglio, la dialettica eristica, non è altro, appunto, che l'arte di ottenere ragione.
Devo ammettere che durante la lettura ho incontrato alcuni stratagemmi di cui più o meno inconsciamente faccio uso nel discutere e di cui, a volte, ci sarebbe da vergognarsi.

Arriviamo al titolo del Post
Nel leggere che, come ci spiega l'autore, la natura umana è estremamente suscettibile per quel che riguarda l'intelligenza, e che, quindi, difficilmente si ha l'onestà intellettuale di ammettere la propria sconfitta, si capisce come, generalmente, il fine delle dispute dialettiche non sia la verità oggettiva, e la sua scoperta attraverso il confronto, bensì la pura e semplice ricerca della supremazia nel disputare.
In poche parole, si capisce come non sempre basti avere ragione per ottenerla, e come, a volte, non sia neanche condizione necessaria l'averla.

Nel leggere di queste scorrettezze morali mi è subito venuta in mente la politica.
Questa, intesa nel senso proprio di gestione della polis (città), quindi, in senso più ampio, del bene comune, ha come elemento fondante il confronto tra opinioni divergenti, quindi, la dialettica.
Mi è venuto da pensare che il dibattito politico diventi tanto più eristico quanto più c'è necessità di essere persuasivi, e la possibilità di esserlo in maniera fraudolenta.
Intendo: in un'oligarchia illuminata, in cui le decisioni vengano prese da poche menti che sappiano il fatto loro, è piuttosto difficile che l'una riesca a prevalere sull'altra pur non avendo buone argomentazioni.
In una democrazia, invece, specie se il popolo non è preparato sugli argomenti dei quali si disquisisce,risulta molto più semplice, anche grazie all'autorità che si è guadagnata presso l'uditorio, far valere delle tesi fallaci attraverso stratagemmi insulsi.
Infatti, come ci dice lo stesso Schopenhauer citando il De vita beata di Seneca:
unusquisque mavult credere quam judicare (ognuno preferisce credere che giudicare).
Spessissimo capita di ascoltare, ad esempio nelle trasmissioni di approfondimento, politici che, a buone argomentazioni, evitino, perché incapaci, di portare una instantia ad rem, ossia, una risposta che entri nel merito dell'argomento confutandolo, preferendone una ad hominem, ossia, ricorrendo allo stratagemma di appellarsi a quanto fatto o detto in precedenza dall'interlocutore, in modo tale da screditarlo, anche se poco pertinente all'argomento trattato.
Oppure, capita altrettanto spesso che si operi una mutatio controvertiae, ossia, il tentare di dirottare il discorso su un binario differente perché ci si rende conto che su quello sul quale ci si trova non si hanno speranze.
Oppure, ancora, il ricondurre le affermazioni dell'avversario a categorie invise all'uditorio senza avere la minima intenzione di confutarle ( mi viene in mente l'abuso di epiteti come "comunista", "massimalista" o "marxista-leninista").
Infine, lo stratagemma che più uccide la politica è quello di portare un argomentum ad personam, ossia, diventare oltremodo offensivi nei confronti della persona con la quale si sta interloquendo, semplicemente perché ci si rende conto di non avere alcuna possibilità di spuntarla.
Se ne deduce che l'unico modo di non essere frodati intellettualmente e, perché no, realmente, visto che anche una frode reale deriva da una carenza di conoscenza, è quello di ferrarsi sul maggior numero possibile di argomenti e di pretendere sempre delle risposte puntuali ed attinenti.
D'altronde, anche quel grande maestro di pedagogia qual'era Don Milani sosteneva questa massima sacrosanta: "una parola che non imparate oggi è un calcio nel culo che prenderete domani"

La motivazione della necessità di saper discernere i ragionamenti autentici da quelli capziosi la si comprende anche nella lettura della postfazione del trattato, ad opera di Franco Volpi.
Nel ricercare l'origine della dialettica, esso la colloca al momento della nascita della democrazia ateniese.
Per i greci in generale, ma soprattutto per gli ateniesi, l' isonomìa (uguaglianza di fronte alle leggi), tratto fondante della democrazia, dipende strettamente dall' isogorìa, ossia, la pari libertà di difendersi in pubblico, quindi, per estensione, di esprimere le proprie opinioni.
Tuttavia, alcuni critici della democrazia, come Isocrate, vedevano in questa sacrosanta libertà il pericolo di parresìa (il parlare per il parlare), che poneva in grado chiunque di credere di poter avere voce in capitolo.
Dunque, si diffidi dai ciarlatani, si sappia riconoscerli, e, nel rispetto di opinioni divergenti, si discuta solo con coloro ai quali si riconosce un briciolo di onestà intellettuale.

Massimo McMutton

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martedì, aprile 05, 2011

Una xenofobia ipocrita.



"A Lampedusa sbarcano talmente tanti immigrati che se porti una conchiglia all'orecchio senti il rumore di un gommone" Spinoza.it

Dopo aver gridato al rischio di diaspora dal Nord Africa e invasione del nostro paese, frenetica è l'attività di Governo per cercare, in Tunisia, l'intesa che blocchi il flusso migratorio diretto verso il nostro paese.
Tutti contenti, dunque, che si stia tentando di scongiurare l'arrivo di questi inutili derelitti che tanto è lesivo della nostra società.
Ma, piaccia o no, non poca è la nostra dipendenza economica dall' immigrazione, e, a dichiararlo, è proprio il Governo.

Per comprendere il discorso che si farà in seguito, è necessario premettere una nozione.
Periodicamente viene stimato un fabbisogno di immigrazione relativo ad un determinato obiettivo di crescita, e, vista la deriva dei nostri indicatori demografici (popolazione sempre più vecchia e tasso di natalità tra i più bassi al mondo), non c'è prospettiva diversa da quella di dipendere sempre più da lavoratori stranieri.

Detto ciò, secondo il "Rapporto 2011" del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il fabbisogno medio di lavoratori stranieri si attesta, per il periodo 2011-2015, a 100 mila unità annue, mentre, per quello 2016-2020, a 260 mila unità annue.
Facendo un rapido computo si arriva ad una media di 1 milione e 800 mila immigrati in dieci anni.

Poiché questo è il dato di fatto, credo non ci si possa permettere di non crescere economicamente a causa di una xenofobia paralizzante.
Più costruttivo sarebbe, invece, analizzare quella problematica riconosciuta come principale motivazione di "difficile digestione sociale" del fenomeno migratorio:la criminalità.
A riguardo, terrei a precisare che, a differenza del sentire comune, non sono soli gli stranieri ad essere pericolosi. Gli autoctoni non sono da meno.
Secondo il "Rapporto sulla criminalità" del Ministero dell'Interno, nel 2006, la percentuale di denunciati/arrestati stranieri per alcuni reati più importanti non si attesta quasi mai su un valore che superi il 50%. Uniche eccezioni per il furto con destrezza (68%) e lo sfruttamento della prostituzione (56%).
Per quel che riguarda le violenze sessuali, che tanto sono care agli spettatori dei telegiornali, sono riconducibili a questi ultimi nel 38% dei casi.
Inoltre, poiché la politica quasi mai utilizza come interlocutore la testa degli elettori, prediligendo generalmente la pancia, ci si focalizza sempre sui reati contro la persona, che più efficace ed immediata presa fanno sull'uditorio, tralasciando sempre i reati da "piani alti", in cui posso azzardare una sparuta presenza straniera.

Seppure non si volesse dar credito alle statistiche (la cui autoritaria provenienza, però, non lascia spazio al dubbio), e si volesse presumere che il 100% dei reati fosse di matrice straniera, in primis, non significherebbe che tutti gli stranieri siano dei criminali, e poi, rimarrebbe un puro problema di lotta alla criminalità, che non dovrebbe curarsi della provenienza del soggetto incriminato.
Se qualcuno commette un reato, che importanza ha il suo essere autoctono o alloctono?

Inoltre, molti dei reati perpetrati dagli immigrati dipendono fortemente dalle condizioni in cui quest'ultimi versano. Chi non sarebbe più spronato al furto se non avesse di che vivere?
Sia ben chiaro che non voglio fingere che non esistano uomini votati alla criminalità, che farebbero del male solo perché quello è il loro stile di vita, ma, sicuramente, le condizioni contestuali incidono molto sulla formazione della coscienza civile.
D'altronde, è proprio questo il motivo per cui la criminalità organizzata mette più facilmente le radici in luoghi dimenticati da Nostro Signore.

Vorrei, inoltre, invitarvi ad un esercizio mentale.
Se foste voi a dover attraversare il mediterraneo in condizioni così precarie, e trovaste ad accogliervi un ambiente altamente ostile, siete realmente sicuri che non sfoghereste la vostra rabbia con atti criminali?
La condizione umana supposta nell'esercizio mentale è talmente estranea alla maggior parte di voi (o meglio, di noi), che, forse, non sareste (saremmo) neanche in grado di rispondere.

Non c'è via percorribile alternativa a quella dell'incentivare l'integrazione...NE GUADAGNEREMMO TUTTI!

Massimo McMutton


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lunedì, aprile 04, 2011

Ci scusiamo per il disagio ma i riflettori sono spenti...


In data 3 aprile 2011 il Sole 24 Ore, tipico sussidio informativo da comunistacci antiberlusconiani, ha pubblicato un articolo che critica aspramente lo stallo di cui soffre il processo di ricostruzione post-sisma.

Tendo ad evidenziare con un certo entusiasmo la notizia non perché il suddetto quotidiano sia stato il primo, anzi, ma perché, finalmente, non si potrà più etichettare tale informazione come proveniente da ambiti le cui posizioni politiche, poiché antagoniste a quelle della maggioranza, portano, secondo l'opinione da quest'ultima largamente diffusa, a giurare anche il falso pur di riuscire nell' intento di far cadere il Governo.
Come ben saprete, infatti, non si può certo sostenere che il Sole 24 Ore sia un quotidiano sinistrorso.

Entro nel merito dell'argomento.
Partiamo dal titolo: "Ferma anche l'economia del disastro".
Con questo titolo, a mio avviso, si vuole intendere che non solo è ferma la macchina della ricostruzione, con tutto ciò che riguarda la rinascita del centro storico, ma il tessuto economico e sociale è ancora talmente lacerato da non esserci stato neanche il minimo segno di nascita di quell'economia che, dopo disastri di questo tipo, generalmente sorge (ne è un esempio il terremoto di Avezzano nel 1915 che vide l'afflusso di una grande massa di persone interessate alla ricostruzione). Mi riferisco a settori quali quello dell'edilizia che, come ci si potrebbe aspettare, dovrebbe trovare appetibile una situazione del genere.

L'articolo continua descrivendo L'Aquila come "ricoperta da una cappa di vetro e polvere. Immobile". Una città in cui mancano soldi per ogni tipo di opera, dalla grande chiesa al piccolo asilo nido.
Punto interessante, poi, è quello riguardante il "giallo contabile" dei fondi erogati per la ricostruzione, emerso da uno studio dello Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell' Industria nel Mezzogiorno) richiesto dal Sole 24 Ore.
Secondo il vicedirettore Luca Bianchi, l'unico elemento sicuro sono gli 1,2 miliardi stanziati sull'emergenza dal Governo, a cui vanno aggiunti i 494 milioni messi a disposizione dall'Unione Europea.
Ci sarebbe poi un'altra cifra compresa tra i 2 e i 4 miliardi in carico al Fas, il fondo che contiene le risorse per il Sud, che sembrerebbero essere risorse teoriche il cui utilizzo non si riesce ad appurare
Sempre lo stesso Bianchi sostiene che sia inammissibile la mancanza di una cabina di regia che monitori le risorse disponibili e ne decida la destinazione.

Andando avanti nella lettura ci si imbatte in resoconti negativi le cui dimensioni lasciano ampio spazio allo sconforto.
Secondo dati Inps, nei primi due mesi dell'anno la Cig ordinaria ha avuto un aumento tendenziale del 485% , a fronte di un +19% regionale, e quella in deroga ( riservata ai lavoratori che non hanno diritto alla ordinaria e alla straordinaria,ndr) è esplosa del 2500%, arrivando ad essere due volte e mezza quella abruzzese.
Tutto ciò è solo un piccolo assaggio di tutti gli indicatori che avvertono del rischio di "meridionalizzazione" (termine che, personalmente, odio per la vena discriminatoria, ma che, in effetti, rende l'idea).
Nel 1995 il Pil pro capite aquilano era stimabile in 14.462 euro. Facendo le proporzioni, era di un quarto minore rispetto a quello del Centro Nord e di un quinto maggiore rispetto a quello del Mezzogiorno. Ora la distanza dal Centro Nord è salita al 30%, mentre quella dal Mezzogiorno si è accorciata al 10%.

Volendo, dunque, tirare le somme, anche alla luce del pessimo tiro giocato dalla trasmissione Forum, la cui colpa non è quella di inventare storie (è il caso concreto della controversia presa in esame ad essere realmente importante), ma quella di aver voluto, Dio sa se dolosamente, contestualizzarla in maniera così precisa, possiamo dire che la situazione è ben lungi dall'essere risolta e che il popolo aquilano rischia di veder trasformare in definitive quelle New Town concepite come temporanee.

Massimo McMutton


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