giovedì, settembre 13, 2012

Presidenziali USA: qualcosa è cambiato?




La campagna elettorale del presidente Obama procede con diverse complicazioni, e non basta il sorpasso prospettato dai sondaggi nei confronti del rivale Mitt Romney a placare i timori. Gli eventi di questi giorni rischiano di far vacillare alcune certezze che garantivano la presenza alla Casa Bianca per i prossimi quattro anni. L’uccisione dell’ambasciatore americano a Bengasi, Christopher Stevens, di tre uomini del suo staff e di dieci libici addetti alla sicurezza, ha portato alla luce la difficoltà che gli Stati Uniti stanno vivendo nelle missioni all’estero. La sensazione è che il governo americano non riesca ad uscire da un pantano internazionale molto insidioso, ben lontano da qualsiasi prospettiva di pacificazione. La tensione che attraversa il Medio Oriente, senza contare la permanenza in Iraq e Afghanistan, ha creato molte difficoltà al governo democratico. Ultimo episodio è quello che vede l’attacco diretto di Netanyahu allo stesso Obama, in seguito ad un incontro saltato a Washington. Queste le dichiarazioni del primo ministro israeliano:

"The world tells Israel: Wait. There's still time. And I say: Wait for what? Wait until when? Those in the international community who refuse to put red lines before Iran don't have a moral right to place a red light before Israel.".  

Israele è un alleato tanto prezioso quanto difficile da gestire. Le conseguenze di una possibile escalation in Medio Oriente non sono prevedibili e negli ultimi tempi Washington ha avuto non pochi problemi a mantenere stabili gli equilibri con Gerusalemme. Mai come adesso, però, il supporto dell’elettorato ebraico diventa necessario per un vantaggio nei confronti dell’avversario, data la rilevanza strategica che detiene in alcuni degli stati chiave come Florida e Pennysilvania. Obama ha contattato Netanyahu per calmare le acque, ribadendo l’intenzione di prevenire la proliferazione nucleare del regime di Teheran, ma è difficile dire per quanto tempo sarà possibile arginare la minaccia di un conflitto. 

Romney, già nella convention repubblicana di Tampa , aveva parlato di speranze deluse e di divisioni nella società americana, imputandole ai quattro anni di presidenza democratica. Dopo i fatti di Bengasi ha preso la palla al balzo per muovere diverse accuse all’amministrazione Obama:

“It’s disgraceful that the Obama administration’s first response was not to condemn attacks on our diplomatic missions, but to sympathize with those who waged the attacks.”

Sarà una nuova elezione all’insegna della paura? Il ruolo che questo sentimento ha avuto in numerose votazioni negli Stati Uniti è stato spesso cruciale. Se la minaccia terroristica ha segnato le presidenziali del 2004, questa volta il terrore è focalizzato sulla perdita di considerazione che ha avuto la politica di deterrenza statunitense, unita alla sensazione complessiva che l'America non riesca ad imporsi più come una volta nelle delicate trattative internazionali. Non è difficile immaginare che da adesso la campagna elettorale dell’ex governatore del  Massachusetts subirà una sferzata verso un’ideale riconquista del predominio statunitense nel mondo, cercando di arrivare a convincere gli indecisi e puntando a screditare sempre di più Obama per il suo operato. Viene da chiedersi se il timore di una crisi internazionale potrà influenzare rapidamente le scelte degli elettori, o se invece saranno i programmi di sviluppo e rilancio dell'occupazione interna a richiamare gli americani alle urne.

Alessio MacFlynn

mercoledì, settembre 12, 2012

Tempest, Bob Dylan




Un treno merci stipato di uomini si muove ondeggiando nella notte. La spalla del vicino può diventare un buon posto per dormire, ma c’è chi non riesce nemmeno a star seduto e chi fa vedere ad un compagno i calli della propria mano tenendo il palmo aperto.  
Chi ha la forza di cantare intona un ritornello:

  This train don't carry no gamblers, 
Liars, thieves and big-shot ramblers; 
This train is bound for glory,
This train!



Questo treno inizia il suo cammino lento nel libro di Woody Guthrie, Bound for Glory, uno dei testi fondamentali nell’immaginario del folk americano. La generazione della grande depressione, partita per cercare fortuna nel cuore del proprio paese. Dylan, proprio come uno dei suoi autori preferiti, lascia che ancora una volta ad aprire questo capitolo sia il fischio di un treno. E forse sarà l’ultimo, quello che ci riporterà a casa.


L'immaginario su cui poggia buona parte della tradizione country, blues e folk è ben definito,  gli elementi ricorrenti servono a rafforzare il legame tra la radice popolare e le storie tramandate e ormai perdute. Gli stivali in pelle spagnola, il tendone degli zingari di passaggio, i contrabbandieri di alcolici e lo sguardo delle donne filtrato dalle staccionate. Tempest guarda al passato, combinando stralci di brani tradizionali, recuperando personaggi perduti in canzoni già cantate, e citando la Bibbia.  Dylan riesce ad incastrare Lennon e William Blake, porta avanti un naufragio come se fosse l'ultimo degli orchestrali rimasto a suonare e affila frecce avvelenate di pura vendetta.  C'è anche altro.


 Durante il Newport Folk Festival del 1964 Johnny Cash regalò la sua chitarra a  Dylan. Un passaggio di consegne rituale, un’antica tradizione country e un assaggio della collaborazione che i due avrebbero avuto pochi anni più tardi nel disco Nashville Skyline. Il risultato fu deludente, era ancora presto per ricevere quel tipo di eredità. Torna in mente il sogno dello sceriffo Bell, in “Non è un paese per vecchi” di Cormac McCarthy. Il padre precede il figlio a cavallo, tenendo in mano una torcia per accendere un fuoco dove l’avrebbe aspettato poco dopo. Il desiderio di tracciare una nuova frontiera è spiegato dalla natura di un popolo che è sempre stato abituato a decidere da sé la propria storia.

Johnny Cash era riuscito a trovare una sorta di pace artistica grazie all'intuito di un produttore come Rick Rubin. La saga di American Recordings raccoglie cover e duetti originali che gli sono valsi numerosi riconoscimenti e un ritorno inaspettato nel firmamento dei grandi artisti americani. Dylan sta cercando di muoversi in quella stessa direzione, e Tempest sembra confermare questa ipotesi, regalando la spiazzante impressione che in qualche modo sappia dove stia andando. Non si tratta solo di chiudere i conti col proprio passato. La frontiera sembra aprirsi proprio lì dove il segno dei passi stava per essere cancellato.

Alessio MacFlynn