venerdì, ottobre 05, 2012

Breve Istoria Dei Mangiatori Di Libri



Dio si fece spirito, e parlò ad Ezechiele. Un lungo rotolo denso di parole d’ogni genere si stese di fronte ai suoi occhi, e la voce di Dio, rimbombando nella sua testa, gli ordinò di mangiarlo. Ezechiele, che nel nome teneva la forza del Signore, obbedì. Nella sua bocca le lettere si sciolsero come miele, senza perdersi disordinatamente. Ascoltò le parole che lo invocavano come Figlio dell’uomo e poi venne avvolto dal fragoroso rumore delle ali che lo sollevarono per riportarlo lungo il canale Chebàr, iniziandolo al duro compito di riferire il verbo che aveva appena ricevuto da Dio. O forse perché, dopo aver mangiato un intero rotolo di parole divine, non riusciva più a muoversi con agilità.

Americo Scarlatti, nome d’arte nato dall’anagramma di Carlo Mascaretti con l’aggiunta di una “i”, dedica un capitolo alla bibliofagia, nell’undicesimo tomo che compone Et ab hic et ab hoc, un’enciclopedia di stranezze ed amenità, caso letterario curioso e dimenticato. Il volume numero undici raccoglie un numero portentoso di aneddoti legati alla letteratura, tra cui le storie di testi che nel corso della storia vennero mangiati.



Bernabò Visconti, nel 1363, si vide recapitare l’ennesima scomunica papale seguita al rifiuto di cedere la città di Bologna al Pontefice dopo le trattative mediate dal re di Francia Giovanni II. Per ribadire il rifiuto d’asservirsi al potere di Urbano V, fece mangiare la bolla papale ai due legati incaricati di consegnarla.

Augier de Gisten, ambasciatore di Carlo V a Costantinopoli durante la metà del 1300, scrisse in una lettera che i tartari erano capaci di mangiare dei libri interi, pur di assorbire il sapere contenuto in essi.

Theodore Reinking, autore di un libricino chiamato Dania ad exteros de perfidia Suecorum (Dai Danesi al resto del mondo; sulla perfidia degli Svedesi) fu rinchiuso in prigione e costretto a mangiare quel trattato per avere salva la vita. Stando a diverse fonti, tra cui il Forse Queneau, le pagine furono fatte bollire nell’acqua, come se fosse una minestra, probabilmente per rendere più facile la digestione. 

Stessa sorte toccò ad Isaac Volmar e alle sue satire sul Duca di Sassonia, consumate però a crudo, senza l’ausilio del brodo d’inchiostro.

Secondo una leggenda, Menelik II di Etiopia, cristiano devoto, sembra avesse ingerito interi passaggi della Bibbia convinto che avessero effetti curativi.

Un caso realmente documentato di bibliofagia, seppur in misura minore, appartiene ai giorni nostri. 



Robert Metcalfe, fondatore della 3com, ingegnere informatico e co-inventore della rete Ethernet, nel 1995 dichiarò quanto segue:   

"But I predict the Internet, which only just recently got this section here in Infoworld, will soon go spectacularly supernova and in 1996 catastrophically collapse."

Metcalfe era assolutamente certo che Internet sarebbe collassato, e ne prevedeva il fallimento su tutti i fronti. Costretto a doversi ricredere, Metcalfe inscenò il suo mea culpa davanti alla platea della WWW6 (Sixth International World Wide Web Conference) nel 1997. Prese una copia del discorso che conteneva la falsa predizione e lo frullò davanti al pubblico. Dopo aver assaggiato  l’intruglio di carta con un cucchiaino, mandò giù tutta la poltiglia, guadagnandosi le risate dei presenti e un posto d'onore meritatissimo nella breve istoria della bibliofagia.


Alessio MacFlynn




martedì, ottobre 02, 2012

Ve lo do io Minzolini




Fra altri ben più gravi
fenomeni causati dalla mancanza di libertà di stampa in Russia, ce ne sono due assolutamente degni di nota, ovvero i primi due canali televisivi (e gli unici che si vedono bene a fuoco dalla mia vecchia TV in bianco e nero. Mossa politica o semplice casualità?). 
Sono il Pervyj Kanal, primo canale, e Rossija 1, nominato in realtà con molto più fervore ad ogni piè sospinto dagli annunciatori, 'v kanale – RAssíja' (sul canale – Russia). Il palinsesto viene piacevolmente riempito da chicche come 'Pust' govorjat' (Che si parli!), una trasmissione di opinionismo spicciolo in cui vite e drammi di personaggi russi più o meno famosi vengono dispiegati davanti agli occhi assetati di scandali dei telespettatori, con la possibilità di litigarne in diretta; 'Ljubljú, ne mogú!' (Amo, non posso!) il cui sottotitolo è 'soluzioni reali a problemi reali', e che tratta di questioni di cuore. Fino a qui, niente di nuovo sul fronte orientale. Qualche telenovela/poliziesco/serie su un ospedale e pessimi film rigorosamente russi. Telegiornali e pubblicità, però, la fanno nettamente da padrone.

Come i messaggi pubblicitari occidentali e capitalisti siano stati 'tradotti' dopo la Perestrojka nella cultura russa, è un tema molto interessante, e per approfondire consiglio assolutamente la lettura di “Babylon”, del già citato, in questo blog, Viktor Pelevin.

Ma veniamo un po' ai telegiornali. La sfacciataggine della propaganda è tale che, a noi occidentali in trasferta e non direttamente coinvolti, non ci resta che ridere. In una sequenza abbastanza consolidata nelle trasmissioni d’informazione, appaiono Putin, magari mentre vola in deltaplano con le gru siberiane per aiutarle nella migrazione, una notizia di cronaca, Medvedev, una notizia di cronaca internazionale, Putin, una notizia su come i governatori locali stiano migliorando Pietroburgo (nel mio caso, ma immagino che in ogni città ci sia un una notizia corrispondente), con nuove aree pedonali (di cui per ora esiste solo un vago progetto su carta), centri per lo scioglimento della neve in inverno, o il ripristino di beni culturali dismessi. Un servizio su una statua di Alessandro II che verrà a breve rimessa al suo posto, può durare fino a cinque minuti.

 
Un paio di settimane fa a Mosca c'è stato un terribile incidente. Un ubriaco al volante si è schiantato contro una fermata dell'autobus, uccidendo sette bambini di un orfanotrofio che stavano andando a teatro e le loro due accompagnatrici. Il guidatore è uscito illeso e si è preso 'solo' (virgolette perché riporto le opinioni dei russi indignati con cui ne ho parlato) dieci anni. Ed ecco che oggi ci è stato subito presentato un bel servizio su come la polizia di Mosca stia efficientemente lottando contro gli automobilisti ubriachi, con tanto di interviste ai valorosi poliziotti e, non finisce qui, riprese video dei ragazzi fermati per i controlli direttamente dalla strada. Mi lascia perplessa quale liberatoria gli avranno mai fatto firmare per poter usare la loro immagine e svergognarli di fronte all'intero pubblico del canale – RAssíja.

Ogni tanto purtroppo gli tocca dare qualche notizia fastidiosa e, seppure sia chiaro che non li renda felici, devo dire che mantengono un contegno invidiabile. Non saranno mica russi per niente! Le strategie dei paladini del governo variano da caso a caso. Alle madri e alle maestre che si lamentavano del freddo negli asili che a settembre fa ammalare i bambini (il riscaldamento qui si può accendere solo dal primo ottobre, oppure quando si toccano i + 8°) è stato presentato il vice governatore in persona, che, senza battere ciglio, ha negato ogni responsabilità, immagino mettendo così finalmente pace negli animi degli apprensivi genitori. Della 'Marcia dei Milioni', che si è svolta a Mosca il 15 settembre, è stata data notizia brevemente, imboscata fra un'anticipazione delle Olimpiadi a Soči e un elenco delle richieste di matrimonio più estreme, in modo secco e senza nominare le ragioni della protesta. Del processo alle Pussy Riot se ne è parlato un po' più a lungo, dando modo ai manifestanti ortodossi, che le volevano subito in prigione, di spiegare le loro ragioni. Effettivamente, davanti al tribunale, si trovavano anche degli sfrontati manifestanti "vestiti in maniera stravagante" che sventolavano delle bambole gonfiabili con dei passamontagna infilati in testa. “Ma una volta domandato loro per cosa esattamente protestassero, non hanno saputo dare spiegazioni. Le loro bambole sono poi rimaste abbandonate sull'asfalto.” Il fatto che i manifestanti siano stati caricati a forza su delle camionette e portati via è stato tralasciato, certo, inavvertitamente. Insomma, cosa volete farci, ci sono notizie che piacciono e che non piacciono, che tirano e che non tirano, questo è un paese capitalista e va dove lo porta il mercato. Il libero mercato. Che stasera ci porta all'inspiegabile divorzio tra Alena Sviridova e il suo ultimo marito. E dire che sembravano così felici. 


Giulia McNope

domenica, settembre 30, 2012

Rezsõ e la canzone maledetta




Rezsõ viveva a Pest, la parte orientale della capitale ungherese, quella che solo qualche decennio prima si faceva scudo del Danubio per non unirsi a Buda. Era un piccolo uomo, alto non più di un metro e cinquanta, capelli soffocati all’indietro dalla brillantina, sigaretta sempre in bocca e le due dita della mano destra a viaggiare sui tasti bianchi e neri del pianoforte. Qualche anno prima si era avventurato a lavorare per un circo itinerante facendo il trapezista, i centimetri d’altra parte erano quelli adatti. Ma una sera, durante uno spettacolo, mancò di un soffio il trapezio e cadde al suolo da un’altezza che avrebbe ucciso chiunque. Lui invece si salvò, perse solo l’uso completo della mano sinistra, che comunque riusciva a reggere la sigaretta e tanto bastava. Rezsõ Seress era una persona facilmente detestabile per un pubblico esigente ed espansivo, poteva risultare persino presuntuoso. 

Usava dinoccolarsi nascosto dietro il pianoforte senza prestare attenzione ad alcuna richiesta, la scaletta era la sua ed era completamente improvvisata. Non aveva mai studiato musica e questo lo poneva sulla difensiva: presentarsi come musicista era il modo peggiore per provare a parlargli. In realtà non aveva neanche un proprio pianoforte, il suo era quello del Kispipa, un noto ristorante di Budapest dove, dalle sei di sera in poi, lo si poteva guardare mentre sfuggiva agli occhi ammirati di giovani perdigiorno, operai ebrei e prostitute. A casa si esercitava su di un tavolo sopra il quale aveva dipinto una tastiera, e quel tavolo dipinto aveva contribuito a creare delle composizioni proprie. Rezsõ le realizzava lì per poi spacciarle al Kispipa come dei grandi classici austriaci. Segretamente, però, inseguiva il successo; non i soldi, di quelli non sapeva che farsene, ma la speranza che i suoi pezzi potessero venire apprezzati dal maggior numero di persone possibile o addirittura continuare a vivere oltre la propria esistenza. Per questo li registrava e li portava con sé a Parigi, la capitale artistica di quegli anni ’30, in cerca di una produzione. Ma fino ad allora aveva solo collezionato rifiuti, troppo tristi e cervellotiche le sue trame melodiche rese ancor meno commerciabili dalle liriche in lingua ungherese.

Al suo fianco c’era sempre Helénke, quella che veniva considerata la donna più bella di Pest. Per stare con lui aveva lasciato un colonnello, dato che riconosceva in quel piccolo uomo un talento immenso, ed incoraggiarlo era diventata una vera e propria missione. Rezsõ però trascinava quel rapporto nel tormento, si sentiva inadatto a ricambiare tutte quelle aspettative ed inseguiva il fallimento quasi a giustificare la sua ridondante malinconia. Poi avvenne la svolta. Il suo amico László gli propose un testo, straziante, intenso, e per l’epoca scioccante. La storia di un uomo che, in seguito alla fine di un amore, racconta gli ultimi momenti di una cupa domenica, quelli che precederanno il suo sucidio; rimedio inesorabile per riconciliarsi con l’amore perduto. Rezsõ la fa sua e nel corso di una domenica trascorsa in un fatiscente hotel parigino partorisce la musica. Aveva appena litigato per l’ennesima volta con Helénke e trasforma tutta quella frustrazione in canzone. 

Nasce così “Szomorú vasárnap”, brano che nella testa di Seress si appresta ad essere l’ennesima vittima di respingimento da parte dei produttori. L'inquietudine che trasmette la canzone supera ogni composizione scritta da lui precedentemente. Un produttore francese, catturato da quella melodia, decide di metterla in circolo, conquistando presto un successo enorme seguito dalla traduzione del testo in varie lingue. La prima traduzione inglese avviene per mano di Sam Lewis, dando vita a “Gloomy Sunday”. La versione definitiva verrà messa a punto da Billie Holiday qualche anno più tardi.

Per Rezsõ arriva il successo tanto atteso, ma nella sua vita nulla cambia, nulla vuole che cambi. Continua a suonare al Kispipa che diventerà preda di curiosi provenienti da tutto il mondo, personaggi quali Arturo Toscanini, Luchino Visconti, Louis Armstrong, John Steinbeck e il duca di Galles si mischieranno nel corso degli anni all’umile pubblico di quel ristorante di Pest. Arrivano i soldi dei diritti d’autore, ma Rezsõ non se ne interessa. A Budapest gli farà anche visita il direttore di una banca americana dove sono depositati 370mila dollari, ma il compositore non si recherà mai negli Stati Uniti per prelevarli o chiederne il trasferimento. 


Il suo cruccio è la musica e l’ossessione di non poter mai più realizzare un successo di quelle dimensioni. Continua a vivere in un modesto appartamento, a comporre su quella tastiera dipinta e a portare il rapporto con Helénke ai confini della follia. Follia che troverà fine solo all’età di 69 anni, quando si getterà dalla sua finestra e, sopravvissuto ancora una volta per miracolo, si toglierà la vita in ospedale strozzandosi con uno spago, raggiungendo l’epilogo di “Gloomy Sunday”. Era il gennaio del 1968, e il personaggio non può non far venire alla mente la sofferenza e l’amore tormentato di un grandissimo della musica italiana, morto suicida esattamente un anno prima. Luigi Tenco, altra vicenda mai del tutto chiarita.
Questa è la storia di Rezsõ Seress, ma “Gloomy Sunday” ha un percorso indipendente all’autore, risplende di luce propria o, per meglio dire, si incupisce della propria oscurità. Negli anni ’30 balzerà all’onore delle cronache per una serie di episodi inspiegabili e pazzeschi. Una catena di suicidi che travalica le frontiere.


Sunday is gloomy,
My hours are slumberless
Dearest the shadows
I live with are numberless
Little white flowers
Will never awaken you
Not where the black coach of
Sorrow has taken you
Angels have no thought
Of ever returning you
Would they be angry
If I thought of joining you?

Gloomy Sunday

Un giovane di Berlino, dopo avere richiesto ad un gruppo che si esibiva in un locale di eseguire la canzone, tornò a casa e si sparò un colpo di pistola alla testa, lamentandosi della tristezza che l'opprimeva e della melodia che non riusciva più a togliersi dalla mente.


Sette giorni dopo una giovane commessa, forse conoscente del precedente suicida, si impiccò. E accanto al suo corpo venne rinvenuto uno spartito della canzone.


Spartito che fu ritrovato anche accanto ad una segretaria di New York, suicidatasi con il gas. In una lettera la richiesta di suonare “Gloomy Sunday” al suo funerale.



Gloomy is Sunday,
With shadows I spend it all
My heart and I
Have decided to end it all
Soon there'll be candles
And prayers that are said I know
Let them not weep
Let them know that I'm glad to go
Death is no dream
For in death I'm caressin' you
With the last breath of my soul
I'll be blessin' you

Gloomy Sunday

Sempre nella Grande Mela, un anziano di 82 anni si gettò dalla finestra dopo aver suonato al piano "Szomorú vasárnap".


Una donna, in Gran Bretagna, fu ritrovata morta a causa di barbiturici e accanto al suo corpo, si diceva, fu rinvenuto nuovamente il testo del brano di Rezsõ. Fu ritrovata dai vicini infastiditi dalla musica alta che suonava continuamente le stesse note.


 Una ragazzina a Roma, dopo avere ascoltato la canzone, si buttò da un ponte.
Dreaming, I was only dreaming
I wake and I find you asleep
In the deep of my heart, dear
Darling I hope
That my dream never haunted you
My heart is tellin' you
How much I wanted you
Gloomy Sunday
 

Nel 1941 la BBC proibì la trasmissione in radio della versione di Billie Holiday, ufficialmente a causa dell’eccessiva tristezza del testo in un periodo di grave difficoltà che vedeva il paese vittima di bombardamenti nazisti.
Il brano tornò a risuonare nelle emittenti inglesi solo negli anni 2000.

Molti artisti si sono avventurati nella reinterpretazione di “Gloomy Sunday”, creando nuove atmosfere o immedesimandosi nelle originali. Oltre a Sam Lewis e Billie Holiday, si registrano le versioni di Diamanda Galas, Björk e, caso più curioso, di Anton Lavey, organista di San Francisco ma soprattutto prete e fondatore della Chiesa di Satana.

Questo è il racconto un po’ documentato e un po’ romanzato di Rezs
õ e della sua canzone maledetta.
Non mi resta che augurarvi
buon ascolto…

 

 

 Andrea McManaman