venerdì, ottobre 26, 2012

Il cinema di Marialy Rivas: l'omofobia non è uno scherzo.



“Ci sono solo tre lesbiche dichiarate in Cile: io, la mia cameraman e la ragazza a cui il mio film si ispira.” Marialy Rivas è giovane, è bionda, è cresciuta in un paese dove fino al 1994 esisteva ancora il reato di sodomia, e si è fatta 24 ore di viaggio per venire a presentare il suo primo lungometraggio “Joven y alocada” (Giovane e selvaggia) al Festival Internazionale di Cinema LGBT “Bok a bok” (Fianco a fianco) che è iniziato giovedì 25 ottobre a San Pietroburgo.

“Joven y alocada” è il suo primo film ed è già stato presentato al Sundance, alla Berlinale e al Festival di San Sebastian. “Joven y alocada” è onesto, sfrontato, naif, rinfrescante, favoloso. “Joven y alocada” racconta la storia di una ragazza cresciuta con dei severi genitori evangelici, per cui il comandamento più importante non è 'non ammazzare' o 'ama il prossimo tuo come te stesso', ma 'non fornicare'. Invece Daniela, la protagonista (interpretata da una strepitosa Alicia Rodriguez) è una fornicatrice. E prega Gesù tutti i giorni che sua madre non scopra il suo blog erotico 'Joven y alocada'.
I genitori della ragazza a cui il film è ispirato hanno scoperto della sua esistenza due giorni prima che andasse al Sundance Film Festival e hanno rotto ogni contatto con la figlia per sei mesi. Purtroppo però omofobia e discriminazione non si limitano solo a queste, già gravissime, violenze emotive. La sera della prima del film in Cile c'è stata un pestaggio anti-gay ed un ragazzo è stato picchiato a sangue ed è morto.

Il festival “Bok o bok” quest'anno compie 5 anni. Avrà luogo dal 25 ottobre al 3 novembre con film e interventi di registi da tutto il mondo (Cile, Cina, Uganda, USA, Russia, Svezia, Inghilterra, Olanda...) Ci sono ottime ragioni per esserne fieri. L'anno scorso a Novosibirsk, durante una proiezione, un gruppo di neo-nazisti nazionalisti ha fatto irruzione nella sala minacciando tutti i partecipanti. Non potendo contare su nessun tipo di aiuto o protezione da parte della polizia gli organizzatori sono stati costretti a cancellare il festival per paura di ulteriori rappresaglie. San Pietroburgo ha cinque milioni di abitanti e l'Europa è a un passo. All'apertura del festival le proteste si sono limitate a un paio di estremisti ortodossi che fuori dal cinema hanno messo in guardia gli spettatori sugli indegni pervertiti presenti in sala. Tuttavia non si sa cosa aspettarsi nei prossimi giorni. Di fatto, dal 30 marzo 2012, la “propaganda” dell'omosessualità in Russia è stata vietata. Non solo, ogni ONG che riceve (o ha ricevuto in passato) fondi o aiuti dall'estero deve registrarsi ufficialmente come 'agente straniero'. La violazione di queste nuove leggi può avere come conseguenza importanti multe o addirittura la prigione.

Sabato 27 ottobre a San Pietroburgo si terrà una protesta pacifica, una “marcia contro l'odio”. Allora, se avrete tempo, fra uno spritz, un buon caffè o una passeggiata al sole (tutte cose che in Russia mancano) prendetevi cinque minuti per pensare agli attivisti LGBT venuti dalla Cina, dove a registi come Lou Ye fare nuovi film è vietato, dall'Uganda, dove per attività omosessuali c'è la pena di morte, dal Cile, dove a maggio un ragazzo è stato picchiato a morte, dall'Italia, dove nessun provvedimento concreto è stato preso a sostegno dei diritti della comunità LGBT, e riunitisi in Russia, dove gli organizzatori di un festival di cinema rischiano di essere arrestati per 'propaganda dell'omosessualità'. Pensate a come marceranno per le vie di questa bellissima e fredda città, sentendosi forti, perché convinti che, alla lunga, conoscenza e rispetto vinceranno su paura e odio.



Giulia McNope

giovedì, ottobre 25, 2012

Cesso Littorio.

Scatto celebrativo seguito alla cerimonia tenutasi su una vetrina di una libreria del centro di Bologna.


"Ottobre, mese di intrepide speranze e gloriose ricorrenze. S'è aperta radiosa questa ventesima e quinta giornata. Il sole di Bologna ha salutato gagliardo i valorosi abitanti della città turrita, illuminandone il fiero sguardo. Di fronte ad un ardito gruppo di italici e indomabili seguaci di colui che fu dell'impero d'Augusto degno erede, si è tenuto un omaggio commosso e privo di empia retorica al camerata Rodolfo Graziani, Maresciallo d'Italia e Viceré d'Etiopia. Quanta virile speme rifulge in questo valido successore dell'imperatore Vespasiano, che impresse nella vermiglia pietra della storia un efficace ristoro agli impellenti bisogni di cui le seppur tenaci vesciche dei cittadini dell'Urbe necessitavano di scrosciante liberazione. 

Negli occhi bagnati d'antico pianto, e nelle mani strette sul fedele moschetto, si stagliava fortissimamente il ricordo delle grandi campagne d'Abissinia in cui si distinse questo figlio d'Italia sospinto dal fuoco di un unico imperativo "Vincere!" Non privi di meritata menzione gli omaggi che l'antica Bononia nei giorni che precedettero l'incoronazione ha valorosamente elargito a questo compatriota. In ogni angolo della città venivano dedicate al suo meritevole servizio e alla sua fulgida carriera, le latrine di pubblico uso alla folta schiera. 

In un vibrante coro intervallato da folate di applausi, si è proceduto ad elencare le imprese del soldato d'Affile, che donarono sicura fama e imperitura gloria al Regno. Ed è lì, dove crebbe il giovine Graziani, affidandosi alla sempiternamente incontestabile guida degli ideali fascisti, che sorge e si erige il monumento che ne celebra la vita e ne diffonde memoria. Osserva, giovane figlio del secolo ventunesimo, cosa fecero i padri affinché tu potessi vivere sotto la luce di questo faro nei secoli dell'uomo! 

Eroe, codesto è l'appellativo che deve tuonare dal torace rigonfio di rispetto dinnanzi a tale splendore. Il saluto protende vittorioso, teso verso il futuro e ricolmo d'amore impavido per la nera camicia. Graziani, con il capo cinto da marmorea corona, vanta un nuovissimo primato tra la sua già fitta costellazione di onori e di medaglie. Celebriamo questo grande ambasciatore della civiltà che dedicò la sua vita agli sforzi dell'Impero e del basso ventre fascista ! 
Viva Rodolfo Graziani! Viva il Duce!" 


Alessio MacFlynn

martedì, ottobre 23, 2012

Mad in China: Rongjiang.


Buche e sobbalzi. Gente che mi fissa e sorride, senza distogliere lo sguardo quando ricambio il contatto visivo. Prossimità fisica con chi condivide il veicolo con me. Un bambino piccolo della coppia seduta nei sedili dietro al mio si mette a giocare con i miei capelli. Ho i piedi appoggiati su un sacco di patate che qualche contadino sta portando in uno dei villaggi disseminati sui monti.
Questo è già il terzo autobus della giornata, quello che mi porterà finalmente alla prossima meta del mio viaggio. Sono partita la mattina presto da Kaili, e alle cinque del pomeriggio non sono ancora arrivata. Sulla mappa i due puntini sembrano vicini, ma la condizione delle strade non aiuta a rendere il percorso rapido e agevole; soprattutto nell’ultimo tratto di strada, dove l’autobus si è inerpicato su una stradina di montagna decisamente accidentata. Ogni tanto l'autista si ferma per far salire nuovi passeggeri. Non esistono fermate vere e proprie, se non le stazioni di partenza e di arrivo. Dopo due ore di strada la vettura è strapiena di persone e merci: materiale da costruzione, cibo, vestiti, pacchi e scatole di cartone accattastate sia dentro al veicolo che sul tettuccio. Anche il mio zaino è stato messo lì sopra, e ad ogni curva spero che non cada e venga dimenticato lungo la strada. L’area in cui siamo è molto lontana dai centri urbani. Dopo aver attraversato qualche villaggio senza mai incontrare macchine sul nostro cammino, imbocchiamo una stradina polverosa costeggiata da edifici in legno a due piani. I miei compagni di viaggio iniziano a raggruppare le proprie cose, e capisco che siamo arrivati a destinazione. Dopo poco l’autobus si ferma in un piazzale, e tutti iniziano a scendere. Siamo arrivati a Rongjiang.

Scendo dall’autobus, e di colpo mi ritrovo catapultata nel passato. Le case intorno a me sono tutte in legno; la strada è gialla e polverosa; quasi tutti gli abitanti del villaggio sono vestiti con abiti tradizionali; tutte le donne portano l’acconciatura tipica dei Dong, attorcigliando i lunghi capelli attorno a un pettine incastrato sulla sommità del capo. Nell’unica piazza del villaggio si vedono i resti di quello che deve essere stato un mercato allestito durante la mattinata. C’è chi ritorna dai campi, chi riporta a casa degli animali, chi sta semplicemente seduto lungo la strada, immerso in conversazioni con altri compaesani. I contadini portano sulle spalle dei bastoni alle cui estremità è appeso il raccolto dei campi. Papere e galline camminano liberamente per le strade del villaggio. Accanto ad un emporio che vende utensili per la casa, c’è un negozio di telefonia e cellulari. Ci sono molti bambini che, come gli adulti, mi guardano incuriositi. Credo che però la persona più stupita nei dintorni sia io.



Chiedo all’autista come tornare il giorno dopo a Leishan, la cittadina da cui è partito l’autobus che ci ha portati qui, e mi informo sull’esistenza di un albergo. Sono fortunata, ce n’è uno. Lascio in fretta il mio zaino, pago per una notte, e riscendo per dare un’occhiata a questo nuovo mondo fatto di due strade non asfaltate e dai suoi abitanti.
Appena scesa nel villaggio, inizio a sentire l’attenzione di tutti puntata addosso, ma non mi importa: in Cina il pudore che ci fa abbassare gli occhi quando si incrocia lo sguardo di qualcuno non esiste, anzi. Si tende a catturare lo sguardo, a far notare la curiosità, ad esprimere lo stupore per la diversità che si ha di fronte. Quando si arriva in Cina, l’attenzione manifesta della gente per gli stranieri è una delle cose che colpiscono di più. C’è a chi da fastidio essere fotografati sull’autobus o al ristorante mentre si mangia, essere costantemente additati e salutati per strada, ma io ho stretto un tacito patto con la popolazione cinese: mi lascerò fotografare tutte le volte che lo vorranno e in cambio io potrò ficcare il naso in giro.
Finora questo accordo sta andando benissimo.


E così, macchina fotografica in mano, cerco di orientarmi in questo villaggio: attraverso un ponte di legno, vedo un gruppo di case e mi siedo fuori da una di esse per guardarmi intorno. Non devo aspettare molto perché cinque o sei bambini si mettano a giocare davanti a me. Inizio a fargli delle foto, e loro si avvicinano per vedere che cosa ho appena scattato. I bambini sono seguiti dalle madri, e nel giro di pochi minuti  c’è un capannello di gente intorno a me. Mi chiedono chi sono, da dove vengo, se sono da sola o con qualcuno. Cerco di parlare un po’ con loro, ma è difficile capire appieno il cinese di questa regione. Dopo poco i bambini si stufano e si allontanano a giocare e le madri tornano dentro le case. Si fa buio, e me ne vado anch’io verso la guest house.

I gestori stanno mangiando nell’ingresso al piano terra, dove è allestito anche un minuscolo negozio di alimentari. Mi invitano a cenare con loro, e non me lo faccio ripetere. La guest house è gestita da una famiglia, e il padre, che avrà una cinquantina d'anni, è anche il maestro della scuola elementare. É di etnia
Han, il gruppo maggioritario nella popolazione cinese. Parla cinese standard, quindi riusciamo ad intenderci: mi spiega che questo è un villaggio Dong, in cui abita qualche famiglia Miao. Loro sono gli unici Han della zona. Racconta che le cose stanno cambiando in fretta anche lì: c’è la TV, ci sono i cellulari, e molti giovani vanno in cerca di lavoro verso la città a valle.

"Far nascere un maschio o una femmina è la stessa cosa, una femmina si prenderà più cura dei genitori."


Anche la mentalità riguardo l’educazione sta cambiando: sempre più famiglie decidono di iscrivere a scuola anche le figlie femmine, nonostante venga preferito tradizionalmente il contrario. Soprattutto nel caso di famiglie con più di un figlio: se c’è da scegliere chi far studiare, sarà probabilmente il maschio. In Cina è illegale sapere il sesso del feto prima della nascita per evitare aborti in caso di femmine (conseguenza questa della politica del figlio unico), ma in molti casi le bimbe, semplicemente, non verranno registrate all’anagrafe per dare la possibilità al fratellino che verrà di diventare cittadino cinese. Nelle campagne si vedono spesso manifesti in cui si elogiano le doti delle figlie femmine rispetto ai maschi, descrivendole come più premurose nella cura dei genitori anziani. Per noi questi avvisi possono suonare decisamente arcaici, ma, date le circostanze, è comunque un grande passo avanti rispetto al silenzio che avvolge gli aborti di genere e l'uccisione delle neonate.
Dopo aver finito di cenare e aver rifiutato l’immancabile cicchetto di grappa, me ne vado a dormire, stanca, sporca, con la pancia e la testa piena.


Laura McMasala

domenica, ottobre 21, 2012

Un pavone da combattimento.


Che ad esempio, ieri sono andato a fare colazione al bar, ieri mattina, per festeggiare un risveglio senza mal di testa. C'era il sole, nessuna macchina in giro, un'aria ancora tiepida. Una cosa piccola ma buona, come il nome di quel racconto di Carver. Con il caffè tutti i miei propositi di non mantenere la solita ostilità col mondo sono andati a farsi benedire. Sistematicamente mi ritrovo a commentare da solo certe cose che mi capita di vedere e che ho quasi paura di riferire al prossimo, per cui mi accontento di riportare i titoli del giornale ad alta voce e sentire che da qualche parte nel bar c'è una voce che risponde con un grugnito. Mi basta. Però ieri c'era pure questa foto di Berlusconi che stringe la mano della Boccassini, e mi ha fatto venire in mente tanti pensieri a cui, disgraziatamente, ho dato attenzione.
C'era questa persona che conoscevo e che ora non c'è più che sapeva tante cose sulla chirurgia estetica. E diceva sempre che le mani invecchiano insieme alle persone, che per loro non c'è modo di nascondere l'età. Il naso si può piallare, le rughe si possono distendere, i denti si possono ricostruire, le labbra si possono gonfiare, ma le mani non ci stanno e fanno di testa loro. Che non lo trovo neanche giusto, perché se poi sono le stesse mani che vanno a toccare un naso piallato, una bocca siliconata, una tetta pneumatica, magari ci restano male. Ma no, le mani sono sagge, non soffrono d'invidia. E chissà che sensazione strana dev'essere stringere la mano ad uno che è tutto truccato, con quel bordo marroncino che segna il confine tra i capelli e lo scalpo,  e che ha le mani nodose e macchiate di un nonno che non lavora in campagna. Una stretta di mano arriva, lascia una leggerissima patina di cellule morte che non si possono vedere ad occhio nudo, e poi se ne va,  in tasca, sotto un'ascella o a farsi fare i complimenti dall'altra mano sorella.
Dietro la schiena, allegre, a cospirare.

Quando c'è l'inserto di un giornale mi distraggo dalla carta secca del quotidiano e vado subito a dare una sfogliata al patinato. La nostra professoressa di matematica, alle medie, passò quella che a me sembrava un'ora buona a domandarsi come mai lei cominciasse a sfogliare i giornali dall'ultima pagina per poi avanzare spugnettando le dita sulla lingua sino alla prima. "Come mai? Come mai?"
Nessuno sapeva cosa risponderle. "E voi? E voi?"
Nell'inserto di ieri c'erano pochi articoli e un mucchio di foto.


Era un servizio di moda. C'erano diverse foto di questo ragazzo, che si chiama Bradley Soileau. Fa il dj ed è molto stimato da Lana Del Rey. Un gran bel ragazzo. Però mi sono chiesto una cosa.
Se uno si fa tatuare una scritta in fronte, la mattina, davanti allo specchio, che cavolo ci legge?
Perché questa domanda se la sono già fatta tanti e tanti anni fa, quando hanno progettato le prime ambulanze. Evidentemente c'era qualcuno che sentendo lampeggiare alle sue spalle e vedendo nel retrovisore un furgoncino con scritto "AZNALUBMA" non si è fatto superare "Perché dovrei far passare questo incinvile che c'ha scritto AZNALUBMA e che ha una sirena accesa e vuole fare il prepotente? Giammai mi priverò del piacere della corsia d'emergenza solcata a quaranta chilometri orari!" Il poverino che era dentro dev'essere morto e da quel giorno hanno invertito la scritta per essere leggibile ed evitare stragi inutili.
Quindi ho pensato a Bradley, che lo specchio deve usarlo spesso proprio perché è un modello e con queste cose ci lavora. Io ho provato a mettermi nei suoi panni e stamattina sono andato in bagno con la stessa frase incisa a penna sulla fronte, cercando di capire come ci si sente ad essere importanti per Lana Del Rey.
Quello che ho letto è daehymedisniraw.
Una traduzione, basata su un' ipotetica quanto illogica sonorità fonetica che può derivare da queste parole, è "disidratami questo ginocchio crudo". Dehy me this knee raw.

Ora unisco i punti e cerco di chiudere. L'autostima è come un pavone da combattimento, pronto a confrontarsi con le persone tenendo la guardia bella alta. E ho pensato che alla fine Ilda Boccassini, quando ha stretto la mano di Berlusconi, deve aver pensato: "C'avrà tutte 'ste donne, però ha le mani che sembrano quelle del professore mio di greco quando scartava le Gelomenta durante le interrogazioni." E mi metto nei panni di Rick Genest, detto Zombie Boy, che quando ha visto che per avere un po' d'attenzione bastava farsi solo un tatuaggio in fronte, senza stare a imbrattarsi tutto il corpo, deve esserci rimasto un po' male.


Il fatto è che questo pavone il più delle volte si rivela essere solo un tacchino con la coda posticcia, un peso piuma camuffato da peso massimo. E se ho divagato tanto, è solo per condividere l'entusiasmo che ho avuto mentre leggevo Un polpo alla gola di Zerocalcare. Quella del pavone è una delle tante immagini che mi hanno fatto sorridere, me la sono messa in tasca e da quel momento non faccio altro che pensare ai pavoni che uno si porta dietro. Ognuno ha il suo, più o meno allenato. Così come a tutti è capitato di essere avvinghiati al collo da un polpo, una cosa che non va né su né giù, una verità taciuta che si fa sempre più grossa man mano che la si nutre di silenzio. E allora ho guardato il mio tacchino travestito, appoggiato al bancone del bar, che alle nove di mattina già chiedeva il secondo cicchetto di grappa.
Gli è cascata una piuma. La conservo a pagina 176.



Alessio MacFlynn