sabato, gennaio 11, 2014

The Wire: il settimanale di Guantanamo.




The Wire è la rivista della Joint Task Force Guantanamo (JTFG), un settimanale che racconta ciò che accade nella "Cuba statunitense", mescolando spettacolo, cronaca e sport. La redazione del giornale (disponibile anche in digitale e presente su tutti i maggiori social network) è composta dai soldati che prestano servizio nel campo di detenzione. Il settimanale è un punto di riferimento per la comunità. Al buongiorno del capitano è riservata la quarta pagina, preceduta dal motto che accompagna ogni attività dell’organizzazione: Safe, Human, Legal, Transparent. Quattro parole usate come garanzia di qualità, esibite nei contesti più disparati. Le recensioni dei film sono spesso affidate al sergente Gina Vaile-Nelson, mentre il sergente Cassandra Monroe tiene una rubrica culinaria: "Meals with Monroe”. Pubblicità, tornei sportivi e serate nei locali occupano le ultime pagine della rivista, dove non possono mancare le strisce satiriche di GTMO JOE. Guardando le fotografie dei trofei di pesca, delle feste in maschera e dei grandi preparativi per il Natale, sembra di osservare una seconda realtà. Non c'è nulla che assomigli a quello che è stato definito "il Gulag dei nostri tempi". 


(fonte: http://www.jtfgtmo.southcom.mil/)

Dodici anni fa venivano rinchiusi nelle temporanee gabbie a cielo aperto dell' X-Ray Camp di Guantanamo i primi venti “combattenti illegali”. Erano passati precisamente quattro mesi dall’attentato alle Torri Gemelle. Tra quelle venti persone, tenute fuori dallo status di prigionieri di guerra, c’erano anche Nabil Said Hadjarab e Mutia Sadiq Ahmad Sayyab, rilasciati lo scorso agosto. Innocenti. Dopo 11 anni. Da quel gennaio ad oggi, 779 presunti terroristi hanno indossato le tute arancioni (quelle dei detenuti che non collaborano con le autorità del campo) o bianche, 617 sono tornati a casa e 86 sono stati riconosciuti innocenti nel 2010, ma solo 11 di loro hanno effettivamente lasciato il carcere.
(fonte: http://www.jtfgtmo.southcom.mil/)
Le polemiche, riguardo la situazione e la vita dei prigionieri di Guantanamo, non si sono mai spente. Nel 2006 Amnesty International denunciava le condizioni dei detenuti, privati di una rappresentanza legale, ai quali erano state estorte testimonianze sotto tortura. L’uso della violenza, e in particolar modo del waterboarding, non è mai stato tenuto nascosto. Lo stesso Bush ne ha confermato la pratica, mentre il suo vice, Dick Cheney, l'aveva paragonata ad un "tuffo in acqua". Il waterboarding, in realtà, è una sorta di annegamento controllato che consiste nell' immobilizzare il detenuto sopra un tavolo, con i piedi più in alto della testa, mentre un asciugamano copre il volto dove viene versata l'acqua. I danni causati da questa pratica possono essere di tipo fisico, psicologico, e, se non interrotta, può portare alla morte. Le torture reiterate, dalle irruzioni notturne nelle celle ai traumi causati dall'isolamento, hanno costretto i detenuti allo sciopero della fame. La risposta alla protesta è consistita in un’altra tortura: l’alimentazione forzata. Durante quest'ultimo anno lo sciopero della fame ha coinvolto 106 detenuti su 166 (alcuni parlano addirittura di 136). Lo scorso 4 dicembre le autorità di Guantanamo hanno deciso di non diffondere più notizie riguardo lo sciopero della fame.
(fonte: http://www.jtfgtmo.southcom.mil/)
Nel 2009 il senato degli USA ha deciso di non stanziare i fondi per la chiusura del campo di prigionia di Guantanamo, 90 voti contro 6. Lo scorso novembre il Presidente è tornato sulla questione: “Continuo a credere che dobbiamo chiudere Guantanamo […] penso che sia difficile capire che non è necessario per la sicurezza americana. È costoso. È inefficiente. […] Ma penso che tutti noi dovremmo riflettere sul motivo esatto per cui stiamo facendo questo. […] Capisco il trauma dopo l’ 11/9, ma sono ormai passati dodici anni. Dobbiamo essere saggi.” Nonostante le dichiarazioni di Obama e i continui appelli delle organizzazioni per i diritti umani, la chiusura di Guantanamo, dodici anni dopo, è ancora lontana. 155 è il numero di detenuti attualmente presenti nel carcere, di cui 76 hanno ricevuto già da quattro anni l'autorizzazione a lasciare l'isola. 


(fonte: http://www.jtfgtmo.southcom.mil/)


The Wire, nel numero di questa settimana, non fa nessun accenno all'anniversario.




Giovanni McAlmont







martedì, gennaio 07, 2014

I solchi del destino.




Riprendendo le parole dello scrittore spagnolo Javier Pérez Andújar, viene naturale pensare a I solchi del destino di Paco Roca come ad un fumetto che cerca di raccontare noi stessi. Non si tratta solo di ricucire un filo con il passato, rivivendo le vicende della guerra civile spagnola e del contributo degli eroi repubblicani durante la seconda guerra mondiale. È anche il racconto dell'ostinazione a non voler dimenticare. Questa ostinazione assomiglia all'albero di unastoria di Gipi. Attorno al suo fusto, sotto l'ombra dei suoi rami spogli, vortica la ricerca del ricordo e il persistere di una memoria che vuole farsi spazio nella realtà delle nuove generazioni. Resiste e protegge. Le foglie, certo, le foglie sono i soldati, ma è anche il tedio che si poggia sul viso specchiato del ragazzo che non si riconosce più. È il tempo stesso. 



Questa caparbietà ha impegnato Paco Roca per cinque anni. La cura che ha avuto nella raccolta del materiale, con l'aiuto di storici ed esperti, restituisce al lettore tutta la passione impiegata nella stesura di questo libro. I solchi del destino incomincia raccontando la storia di un esilio. Un viaggio che porta Miguel Ruiz dal porto di Alicante, dove migliaia di persone si accalcano per poter salire su una nave che li porti via dall'avanzata delle truppe di Francisco Franco. La traversata sarà solo l'inizio di una complicata riconquista della libertà da parte di Miguel e dei suoi compagni. Dopo essere sbarcati ad Orano, in Algeria, un treno li condurrà nel deserto del Sahara in un campo di lavoro. Anche la colonia francese era passata sotto il governo collaborazionista di Vichy. Una prigione invisibile dove l'unico pensiero che teneva alto lo spirito era la voglia di tornare nel proprio paese per continuare la lotta al fascismo. Quando gli alleati liberarono Orano nel 1942, gli ex combattenti spagnoli della guerra civile poterono riorganizzarsi nella compagnia della Nueve, guidata dal capitano Dronne verso la liberazione della Francia. La gloria e l'onore di poter entrare nella Parigi liberata, aprendo la sfilata di De Gaulle, nei pensieri degli spagnoli dell'epoca doveva sancire il primo passo verso la cacciata di Franco e la sconfitta totale del fascismo. Gli eventi non diedero ragione allo spirito repubblicano, e il regime franchista terminò solo con la morte del Caudillo


Paco Roca si conferma uno degli autori più talentuosi degli ultimi anni. Anche I solchi del destino, così come il pluripremiato Rughe, sta velocemente conquistando i lettori (gli utenti del sito internet di El Pais lo hanno eletto fumetto dell'anno), confermando la capacità unica di riuscire a realizzare dei veri e propri classici del fumetto. 





La ragazza ritratta nella foto è Marina Ginestà a 17 anni. Il suo sguardo, il fucile sulla spalla e lo sfondo di Barcellona, sono diventati il simbolo della lotta antifascista in Spagna. Marina si è spenta ieri a Parigi, pochi giorni prima di compiere 94 anni. Questo post si chiude con le sue parole e con una poesia di Antonio Machado: "Avevamo la sensazione che la ragione fosse dalla nostra parte e che avremmo finito per vincere la guerra, non pensavamo di vivere all'estero fino alla fine dei nostri giorni". 




 Cuando murió su amada
pensó en hacerse viejo

en la mansión cerrada,

solo, con su memoria y el espejo

donde ella se miraba un claro día.

Como el oro en el arca del avaro,

pensó que no guardaría
todo un ayer en el espejo claro.
Ya el tiempo para él no correría. 




Quando morì la sua amata
pensò, facendosi ormai vecchio,

nella chiusa dimora,

solo, coi ricordi e lo specchio

dove in un chiaro giorno lei si mirava.

Come l'oro nella cassa dell'avaro,

pensò di non guardare
tutto il passato nello specchio chiaro.
Ormai il tempo per lui non scorreva.

Antonio Machado, Perergon, Los ojos



Alessio MacFlynn