"The contribution which an organized and living Europe can bring to civilization is indispensable to the maintenance of peaceful relations"
Discorso di Robert Schuman (9 Maggio 1950).
In un periodo in cui, per cause più o meno fondate, dilaga un antieuropeismo radicale, è mio parere necessario puntare di nuovo i riflettori sull'importanza che l'Europa unita ha avuto nel processo di mantenimento della pace e nello sviluppo economico e sociale all'interno dei suoi confini.
Il discorso di cui ho riportato un estratto, passato alla storia congiuntamente alla figura di Jean-Baptiste Nicolas Robert Schuman, pur essendo stato scritto da Jean Monnet, è, a ragione, considerato come la base sulla quale il processo di integrazione europea è stato costruito.
Si era al tempo in cui l'Unione Europea era lontana anni luce, e in cui la Comunità Economica Europea, sebbene in procinto di nascere, non era ancora stata concepita.
Il processo di integrazione è stato imperniato, in principio, sulla collaborazione nei settori strategici dell'economia. Precisamente: carbone e acciaio.
A differenza di quanto possa sembrare, l'integrazione aveva moventi che andavano ben oltre il semplice vantaggio che si poteva trarre dal commerciare liberamente carbone e acciaio all'interno della CECA (Comunità Economica per il Carbone e l'Acciaio).
Proprio carbone e acciaio erano stati, in precedenza, tra i principali moventi delle tra sanguinose guerre che Francia e Germania avevano combattuto l'una contro l'altra: Guerra franco-prussiana (1870); Prima Guerra Mondiale (1914); Seconda Guerra Mondiale (1939).
Nessuno ha notato che, come era nella visione dei padri fondatori dell'Europa, nessuna guerra interna all'Europa è più stata combattuta, e che il solo pensiero fa rabbrividire anche il più convinto dei nazionalisti?
Comunque, con il passare del tempo, grazie ad un effetto di "spillover", pur rimanendo fondamentale l'aspetto economico, si è compreso che la cooperazione potesse portare benefici su molti altri livelli.
L'articolo 3, comma 1, del Trattato dell' Unione Europa, infatti, recita:
"L'Unione si prefigge la pace, i suoi valori, ed il benessere dei suoi popoli".
E non si può di certo negare che molte delle conquiste sul piano civile e sociale che oggigiorno diamo per assunte, senza neanche curarci di come solo pochissimo tempo fa fossero ben lontane dall'esistere, sono in parte dovute anche all'incontro con realtà europee molto più avanzate.
Altrettanto difficile risulta il negare che tale incontro sarebbe stato decisamente più ostico se non ci si fosse concessi alla cooperazione.
Infine, l'enorme sviluppo economico di cui ha goduto il nostro paese dopo la metà del secolo scorso, di sicuro è stato agevolato dalla possibilità di muoversi in un mercato libero e coordinato.
Ma, poiché mi si potrebbe sollevare l'obiezione che le critiche non si rivolgono ai principi ispiratori dell'integrazione europea,ma, piuttosto, ai meccanismi attraverso i quali questa è stata realizzata, e vuole essere ulteriormente implementata, mi riferirò ora a uno strumento che non smette di suscitare critiche: l'Euro.
Mi premeva premettere, però, con la dissertazione precedente, che l'Europa non è solo l'Euro, e che molti altri aspetti vanno valutati prima di pensare di uscire dall'Unione.
Pur vero che, allo stato attuale di integrazione, non si può pensare di rimanere in Europa uscendo dall'Euro, semplicemente perché l'Euro è uno degli ultimi passi del suddetto processo di integrazione, e un'uscita non sarebbe altro che una regressione del processo.
Molti sostengono che l'Euro, al cambio al quale siamo stati costretti ad entrare, abbia notevolmente peggiorato la nostra capacità competitiva. E' vero. Lo riconosco. Ad una condizione, però: che si ammetta che la capacità competitiva che si riconosceva all'avere una moneta nazionale, e, quindi, all'avere una politica monetaria autonoma, era solo l'avere la possibilità di effettuare svalutazioni.
A mio avviso, però, la svalutazione competitiva non serve ad altro se non a coprirsi gli occhi su quali siano le reali motivazioni di scarsa competitività di cui soffriamo.
Non può essere considerato un problema il fatto che ci si impongano standard economici più elevati. Il problema, semmai, è il fatto che tali standard continuino ad essere lontani anni luce dalla nostra portata.
E questo è un problema monetario o un problema politico?
Inoltre, ad esempio, in mancanza dell'Euro, e, quindi, di una moneta che sia realmente forte, quei fattori la cui importazione non può essere evitata, come il petrolio e l'energia, il cui costo è una delle principali cause di debolezza per le nostre imprese, sarebbe un salasso ancora maggiore.
Tutta questa digressione non vuole negare i numerosi problemi che caratterizzano l'Europa unita.
Non nascondo che la totale indipendenza dai governi nazionali della BCE, e la sua totale discrezionalità nell'adozione di politiche monetarie e la mancanza di trasparenza, possano essere un problema, ma l'eccessiva ingerenza dei governi nelle decisioni della BCE, a causa di orizzonti decisionali temporalmente differenti (la teoria del ciclo politico-economico di Nordhaus spiega come i governi, in vicinanza delle scadenze elettorali, tendano a prendere decisioni che vanno spesso contro le necessità del sistema economico, poco curandosi delle conseguenze, che sono molto differite nel tempo, e basandosi sull'assunto che i cittadini guardino all'immediato e non abbiano le capacità di analisi delle conseguenze future), potrebbe rendere difficoltoso l'obiettivo per cui la BCE è stata istituita: la stabilità dei prezzi.
Facciamo un esempio pratico.
Il cittadino percepisce di aver bisogno di soldi (cosa piuttosto frequente). Un governo "sconsiderato", che, per necessità di bilancio, in perdita grazie a spese inutili e dannose, non applicasse contestualmente politiche produttive sul piano dell'offerta, sarebbe incentivato a concedere più moneta, poco curandosi di come questo possa portare ad un aumento dell'inflazione, con conseguente diminuzione della capacità competitiva in esportazione. Tutto ciò, semplicemente, perché il cittadino non sa connettere l'aumento dei prezzi a quella manovra monetaria che gli ha dato un appagamento immediato, e non si rende conto che l'aumento dell'inflazione rende conseguentemente inutile in sé l'avere più moneta.
Il succo della questione è: possiamo, anzi, dobbiamo, parlare di come vada migliorata l'Europa unita, ma un antieuropeismo sconsiderato si basa, a mio avviso, su assunti non condivisibili.
L'Unione Europea è nata per finalità molto positive.
Qualsiasi istituzione, però, funziona grazie a uomini, e un cattivo funzionamento di un'istituzione non implica necessariamente che essa si fondi su presupposti errati.
L'unico modo per far sì che funzioni in maniera corretta, è formare uomini che siano votati al bene comune.
La nostra storia ne ha conosciuti, e, con un po' di impegno, ne conoscerà ancora.
Spero di non scoprirmi un disilluso sognatore.
Massimo McMutton.
Il processo di integrazione è stato imperniato, in principio, sulla collaborazione nei settori strategici dell'economia. Precisamente: carbone e acciaio.
A differenza di quanto possa sembrare, l'integrazione aveva moventi che andavano ben oltre il semplice vantaggio che si poteva trarre dal commerciare liberamente carbone e acciaio all'interno della CECA (Comunità Economica per il Carbone e l'Acciaio).
Proprio carbone e acciaio erano stati, in precedenza, tra i principali moventi delle tra sanguinose guerre che Francia e Germania avevano combattuto l'una contro l'altra: Guerra franco-prussiana (1870); Prima Guerra Mondiale (1914); Seconda Guerra Mondiale (1939).
Nessuno ha notato che, come era nella visione dei padri fondatori dell'Europa, nessuna guerra interna all'Europa è più stata combattuta, e che il solo pensiero fa rabbrividire anche il più convinto dei nazionalisti?
Comunque, con il passare del tempo, grazie ad un effetto di "spillover", pur rimanendo fondamentale l'aspetto economico, si è compreso che la cooperazione potesse portare benefici su molti altri livelli.
L'articolo 3, comma 1, del Trattato dell' Unione Europa, infatti, recita:
"L'Unione si prefigge la pace, i suoi valori, ed il benessere dei suoi popoli".
E non si può di certo negare che molte delle conquiste sul piano civile e sociale che oggigiorno diamo per assunte, senza neanche curarci di come solo pochissimo tempo fa fossero ben lontane dall'esistere, sono in parte dovute anche all'incontro con realtà europee molto più avanzate.
Altrettanto difficile risulta il negare che tale incontro sarebbe stato decisamente più ostico se non ci si fosse concessi alla cooperazione.
Infine, l'enorme sviluppo economico di cui ha goduto il nostro paese dopo la metà del secolo scorso, di sicuro è stato agevolato dalla possibilità di muoversi in un mercato libero e coordinato.
Ma, poiché mi si potrebbe sollevare l'obiezione che le critiche non si rivolgono ai principi ispiratori dell'integrazione europea,ma, piuttosto, ai meccanismi attraverso i quali questa è stata realizzata, e vuole essere ulteriormente implementata, mi riferirò ora a uno strumento che non smette di suscitare critiche: l'Euro.
Mi premeva premettere, però, con la dissertazione precedente, che l'Europa non è solo l'Euro, e che molti altri aspetti vanno valutati prima di pensare di uscire dall'Unione.
Pur vero che, allo stato attuale di integrazione, non si può pensare di rimanere in Europa uscendo dall'Euro, semplicemente perché l'Euro è uno degli ultimi passi del suddetto processo di integrazione, e un'uscita non sarebbe altro che una regressione del processo.
Molti sostengono che l'Euro, al cambio al quale siamo stati costretti ad entrare, abbia notevolmente peggiorato la nostra capacità competitiva. E' vero. Lo riconosco. Ad una condizione, però: che si ammetta che la capacità competitiva che si riconosceva all'avere una moneta nazionale, e, quindi, all'avere una politica monetaria autonoma, era solo l'avere la possibilità di effettuare svalutazioni.
A mio avviso, però, la svalutazione competitiva non serve ad altro se non a coprirsi gli occhi su quali siano le reali motivazioni di scarsa competitività di cui soffriamo.
Non può essere considerato un problema il fatto che ci si impongano standard economici più elevati. Il problema, semmai, è il fatto che tali standard continuino ad essere lontani anni luce dalla nostra portata.
E questo è un problema monetario o un problema politico?
Inoltre, ad esempio, in mancanza dell'Euro, e, quindi, di una moneta che sia realmente forte, quei fattori la cui importazione non può essere evitata, come il petrolio e l'energia, il cui costo è una delle principali cause di debolezza per le nostre imprese, sarebbe un salasso ancora maggiore.
Tutta questa digressione non vuole negare i numerosi problemi che caratterizzano l'Europa unita.
Non nascondo che la totale indipendenza dai governi nazionali della BCE, e la sua totale discrezionalità nell'adozione di politiche monetarie e la mancanza di trasparenza, possano essere un problema, ma l'eccessiva ingerenza dei governi nelle decisioni della BCE, a causa di orizzonti decisionali temporalmente differenti (la teoria del ciclo politico-economico di Nordhaus spiega come i governi, in vicinanza delle scadenze elettorali, tendano a prendere decisioni che vanno spesso contro le necessità del sistema economico, poco curandosi delle conseguenze, che sono molto differite nel tempo, e basandosi sull'assunto che i cittadini guardino all'immediato e non abbiano le capacità di analisi delle conseguenze future), potrebbe rendere difficoltoso l'obiettivo per cui la BCE è stata istituita: la stabilità dei prezzi.
Facciamo un esempio pratico.
Il cittadino percepisce di aver bisogno di soldi (cosa piuttosto frequente). Un governo "sconsiderato", che, per necessità di bilancio, in perdita grazie a spese inutili e dannose, non applicasse contestualmente politiche produttive sul piano dell'offerta, sarebbe incentivato a concedere più moneta, poco curandosi di come questo possa portare ad un aumento dell'inflazione, con conseguente diminuzione della capacità competitiva in esportazione. Tutto ciò, semplicemente, perché il cittadino non sa connettere l'aumento dei prezzi a quella manovra monetaria che gli ha dato un appagamento immediato, e non si rende conto che l'aumento dell'inflazione rende conseguentemente inutile in sé l'avere più moneta.
Il succo della questione è: possiamo, anzi, dobbiamo, parlare di come vada migliorata l'Europa unita, ma un antieuropeismo sconsiderato si basa, a mio avviso, su assunti non condivisibili.
L'Unione Europea è nata per finalità molto positive.
Qualsiasi istituzione, però, funziona grazie a uomini, e un cattivo funzionamento di un'istituzione non implica necessariamente che essa si fondi su presupposti errati.
L'unico modo per far sì che funzioni in maniera corretta, è formare uomini che siano votati al bene comune.
La nostra storia ne ha conosciuti, e, con un po' di impegno, ne conoscerà ancora.
Spero di non scoprirmi un disilluso sognatore.
Massimo McMutton.
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5 commenti:
Ma le domande sono: può esistere una moneta senza stato? Ci può essere unità monetaria senza un'unità politica?
Il problema è che i governi continuano a pensare ancora ai propri interessi nazionali. Dopo la guerra mondiale e durante la guerra fredda il motto per l'Europa unita era: Russia fuori, America dentro, Germania sotto. Possiamo andare avanti con istituzioni europee nate sotto il protettorato americano?
E ancora, in seguito alla caduta del muro di Berlino, l'ordine mondiale è cambiato/sta cambiando e l'europa ancora non riesce a trovare la sua autonoma collocazione geopolitica. Fino a quando perdurerà la nostra subalternità? A lungo credo a giudicare dalla mediocrità della classe dirigente europea.
L'europa vive una condizione di debolezza istituzionale e di visione generale da far impressione.
Bisogna considerare l'enorme confusione che si genera quando si pensa all'Unione Europea e all'Euro zona. Faccende distinte. Cosa fare adesso? Seguire la linea Sarkozy dell'europa a due velocità? O ancora aspettare che la Merkel e i suoi consiglieri decidano quale strada da percorrere sarà più conveniente per la Germania?
Sarà difficile uscire da questa condizione di crisi, senza un'accelerazione verso l'unità politica. Ma gli stati sono pronti ad accantonare i propri interessi particolari per perseguirne di più generali?
Innanzitutto, ti ringrazio per il tuo commento e per i numerosi appunti fatti alla mia tesi.
Premetto che, data la vastità dell'argomento, non mi prefiggevo di essere esaustivo, e colgo, quindi,dalle tue domande, l'occasione per ampliare il discorso.
In ultimo, il mio post era proprio mirato ad una discussione su una realtà che ci coinvolge così da vicino.
Numererò le risposte in maniera consequenziale collegandole alle tue domande.
1)No. Non può esistere una moneta senza stato. Il presupposto fondamentale è, infatti,arrivare ad avere unicità di obiettivi.
Arriviamo quindi alla tua seconda domanda.
2) Il problema principale è quello che alcuni analisti chiamano "Common governance without common government", ossia, anche se sono sicuro che non ti serva una traduzione, "direzione, o processo decisorio, comune, senza governo comune".
La motivazione del problema va ricercata tornando indietro agli albori della CECA.
Al tempo sussistevano due principali correnti di pensiero riguardo il processo di integrazione: teoria federalista e teoria neo-funzionalista.
La prima mirava a costruire un sovrastato al quale fosse concessa ampia sovranità (stile USA). La seconda, invece, si basava su un'analisi teleologica, e, quindi, vedeva solo nel fine ultimo del guadagno reciproco lo scopo dell'integrazione.
Purtroppo, o per fortuna, in un'Europa fatta di nazioni caratterizzate da un vissuto culturale molto influente,ha prevalso la seconda.
Probabilmente, se ci si fosse concessi ad uno Stato Europa, adesso non avremmo di questi problemi. Di contro, però, se il costo dell'adesione allo Stato Europa fosse stato il dissolversi, nessuno Stato avrebbe mai aderito.
Sono d'accordo con te nell'affermare che un passo avanti in questo senso vada fatto.
3)L'essere nati sotto il placet degli Stati Uniti ha avuto due conseguenze, una positiva ed una negativa, collegate entrambe al modello economico che abbiamo importato.
Quella positiva, seppur con varianti prettamente europee, come, ad esempio, la forte presenza di PMI, è la cultura d'impresa e l'orientamento al libero mercato.
Quella negativa, è il deciso neoliberismo che caratterizza le istituzioni europee, che, a ben vedere, non è altro che l'esasperazione del precedente punto (che reputavo positivo).
Devo ammettere che, nonostante sia uno studente di economia, sono, a riguardo, un pochino fuori dal coro. Insomma, non sono uno di quelli per la liberalizzazione a tutti i costi.
Come detto, quindi, e lo possiamo verificare in questi ultimi tempi, non di rado la BCE e L'Unione sacrificano il contratto sociale al fine di far fede a quello di credito.
Spesso dimenticano, però, che la crisi è stata scatenata dal debito privato, e non da quello pubblico.
Inoltre, e questa è una critica piuttosto frequente, la BCE, nel suo perseguire il fine della stabilità dei prezzi, poco si preoccupa di come una diminuzione dei tassi, seppur esponendo al rischio di inflazione, possa avere effetti benefici sull'occupazione.
4) La nostra subalternità finirà quando a guidare l'Europa arriveranno individui convinti che non ci sia necessariamente un trade off tra efficienza ed equità, o che, comunque, la prima vada, a volte, sacrificata per la seconda, e che il benessere non è da ritrovarsi necessariamente solo in un "volume maggiore" di economia, ma, anche in un livello medio più alto.
Quello che dico, è che continua ad essere un problema nazionale. La cultura neoliberista dilaga in tutti gli Stati europei (vedi la svolta a Destra della Spagna).
Come ho già sostenuto nel Post, l'istituzione si basa sul presupposto fondato che in un mondo così complesso e competitivo, ogni obiettivo sia più facilmente raggiungibile cooperando, piuttosto che "remando" da soli, o peggio, "remando" gli uni contro gli altri.
5)Per quello che riguarda la cura, varie sono le posizioni, e non sono così presuntuoso da affermare quale sia meglio delle altre. Ammesso che ce ne sia una.
L'idea di un'Europa a due velocità non è totalmente scartabile, perché rifletterebbe la reale situazione economica di Paesi, come il nostro, che patiscono gap sul piano della competitività a causa di una moneta troppo forte.
Di contro, sarebbe un enorme passo indietro rispetto al punto in cui si è arrivati.
Per quello che riguarda la Germania, non è da biasimare se si fregia, spesso in maniera, lo ammetto, eccessivamente "egoistica" del suo ruolo di locomotiva, anche se, in realtà, alcuni analisti sostengono che l'avanzo di bilancia della Germania sia largamente assorbito dal disavanzo dei paesi periferici. Questo ridimensionerebbe il suo ruolo, in quanto, le sue performance positive vengono ben bilanciate da quelle negative di altre, non facendo, quindi, migliorare la posizione economica dell'Europa intera.
7)Di sicuro, il riacceso "nazionalismo" all'interno dei vari Stati Membri non giova alla causa europea, e la mancanza di personalità del calibro di Monnet, Shuman, o Spinelli, non fa che peggiorare le cose.
Comunque, come già sostenuto, il post si proponeva di sottolineare il bene che si può trarre dall'Europa Unita, tenendo bene a mente, però, come alcune cose debbano cambiare.
Non saprei in realta'..mi sembra che ci sia un'accesa europeizzazione a livello ideologico e frontaliero, (anche nei suoi aspetti negativi di fortezza europa e di controimmigrazione) e dall'altra parte non c'e' un vero eurobond, non c'e' una moneta unica, ma solamente una moneta con tanti debiti pubblici, cioe' ci sono piu' euro: euro tedesco, euro francese...e' un'illusione l'euro, infatti la grecia e' fallita proprio per questo (oltre che per i sedicenti dirigenti della finanza che l'hanno fatta regredire). Fintantoche' l'europa sara' una facciata e non una cordata, sara' difficile avere nostalgia di qualcosa..a parte dei bei discorsi ideologici e di costume, ovviamente.
Non è una questione di nostalgia. E' una questione di lungimiranza.
Il nostro problema di debito pubblico, che riguarda molto più questioni interne (vedi Capitalismo Assistenziale) che questioni comunitarie, può essere superato solamente con PIU' Europa, NON con meno.
Per più Europa si intende che la BCE si svincoli dal suo ruolo di puro guardiano della stabilità dei prezzi e si converta a quello di prestatore di ultima istanza.
Per più Europa si intende che l'unificazione sia anche a livello di questioni di bilancio pubblico (peraltro, adesso "incostituzionale").
Non confuto le tue tesi, perché sono esatte.
Semplicemente, è l'idea alla quale approdo che è differente.
Non possiamo fare a meno dell'Europa perché senza l'Europa avremmo ancora meno credibilità...e più problemi a tenerci in piedi.
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