venerdì, maggio 20, 2011

Due righe su Vittorio Arrigoni.

Ho appena finito di leggere l'articolo di Goeffrey Alderman pubblicato sul sito del Jewish Chronicle. Si intitola "This was no 'peace activist' ". Si apre con una vera e propria esclamazione di gioia e godimento: "Pochi eventi mi hanno dato più piacere nelle scorse settimane,che la morte del cosiddetto attivista di pace Vittorio Arrigoni. Più della notizia della morte di Bin Laden." Dopo una breve sintesi degli eventi che hanno condotto all'omicidio di Arrigoni, Alderman espone le ragioni che lo portano ad affermare che l'attivista italiano fosse un vero e proprio "Jew-hater": "La sua pagina Facebook non conteneva solo i consueti insulti ad Israele,ma delle vere e proprie immagini anti-israeliane. Una,per esempio,mostra Gesù arrestato dai soldati israeliani." Questa è la parte più significante delle sue accuse. Arrigoni colpevole di avere sul suo profilo delle vignette satiriche. "La morte di un consumato 'Jew-hater' è sempre motivo di celebrazione". Così il giornalista inglese sintetizza il suo pensiero, e onestamente ci si chiede come abbiano fatto ad Oxford a ritenerlo meritevole di una laurea honoris causa. L'articolo è francamente osceno. Le argomentazioni sono ridotte a poche tracce slegate. Ci si può quasi immaginare il giornalista che,fiero della sua celebrità,decide di sparare a zero su una persona di cui si è informato molto poco e che soprattutto non può nemmeno rispondergli. Così come avevamo trattato precedentemente delle felicitazioni per l'uccisione di Bin Laden,così vogliamo di nuovo evidenziare quanto,anche stavolta,l'odio renda piccole e brutte le persone. Personalmente credo che rifarsi solo all'aspetto del profilo di Facebook di Arrigoni sia riduttivo. La sua pagina ora è ancora più aperta e libera, e tutti i suoi pensieri dovrebbero essere cercati nel blog che curava da Gaza. "Stay human" era diventato il suo motto. Restare umani,semplicemente. Rendersi conto di quanto questo limite sottile venga costantemente prevalicato e oscurato dalle ragioni di chi non è mai disposto ad aver torto. Personalmente non conoscevo l'operato di Arrigoni, finché non è stato barbaramente ucciso. Poi mi sono ricordato che da diverso tempo circolava un suo video in risposta a Roberto Saviano,per un intervento dello scrittore ad una conferenza su Israele. Arrigoni nel video è amareggiato dai discorsi di Saviano, perché ne parla come fosse una specie di "arcadia" civile dove la tolleranza e il rispetto sono valori imprescindibili. Arrigoni, con la sua testimonianza, ci racconta un mondo diverso e il fatto che egli sia in prima linea in questa tragedia, gli conferisce credibilità e rispetto. Poteva non piacere,certo. Ma questo non giustifica nessun tipo di danza sulla sua tomba,come Alderman auspicherebbe ogni volta che qualcuno differisce dal pensiero filo-israeliano.

E' vergognoso che l'Italia abbia trattato timidamente la questione Arrigoni e che le istituzioni non si siano schierate dalla sua parte, negandogli anche l'omaggio ai suoi funerali. Nel nostro paese siamo abituati a questo tipo di trattamento. Sarà stata la paura che si potesse avere a che fare con un terrorista mascherato da pacifista, o con un vero e proprio fomentatore di odio verso gli ebrei, sta di fatto che le persone non hanno fatto finta di non vedere e hanno voluto ricordare Arrigoni per il suo operato e la sua forza. Una forza che accomuna un numero incredibile di giovani e meno giovani che partono volontari in giro per il mondo, e che restano una realtà importante, ma nascosta dai riflettori e dalle scene.
Se, come diceva Einstein,la pace si raggiunge con la comprensione,articoli come quello di Alderman non fanno altro che rovinare qualsiasi tipo di ricerca della tolleranza e del rispetto.

Alessio MacFlynn


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mercoledì, maggio 18, 2011

Eutanasia: la morte buona per chi non vive vivendo.


"L'estremo dei mali è uscire dal numero dei vivi prima di morire. E' meglio morire che vivere da morti".
Seneca - De tranquillitate animi

Poco tempo è passato dai risultati del referendum che boccia la proposta di legge che avrebbe dovuto impedire ai non residenti la fruizione del servizio di suicidio assistito prestato in Svizzera da associazioni come Dignitas.
Non entrerò nel merito delle tecniche, principalmente distinguibili, in ordine crescente di intervento esterno, tra eutanasia passiva, suicidio assistito, ed eutanasia attiva, e non polemizzerò neanche sul ritardo che l'ordinamento italiano patisce nei confronti di molte altre realtà nazionali (ad esempio, dal 2002 nei Paesi Bassi è legale l'eutanasia attiva, mentre, in Italia, si rispetta solo il sacro e inviolabile diritto del paziente di rifiutare le cure mediche), ma mi limiterò ad una disquisizione personale sulla necessità di tali pratiche , invitando chiunque ne abbia voglia a confutare o corroborare la mia tesi.
Per dovere di precisione, è giusto che chiarisca come si stia parlando di eutanasia "consensuale", e non dell'eutanasia commessa quando il paziente non è in grado di esprimere la propria opinione.
In questo secondo caso si aprirebbe il dibattito del ruolo dei familiari e del testamento biologico.
Tematica di non minore importanza, ma che, seppur molto attinente, può essere tralasciata ai fini dello svolgimento, promettendo una sua trattazione nel futuro prossimo.
La complessità dell'argomento, risultante delle numerose sfere del vivere umano nelle quali si addentra, è tale da rendere fragile qualsiasi giudizio, ma non per questo ci si può esimere dal discuterlo, proprio perché tale complessità va di pari passo con la sua importanza.
Varie e variopinte sono state le posizioni espresse a riguardo da menti illustri, ma di non minore importanza si possono rivelare le opinioni di coloro che, come il sottoscritto, generalmente non hanno voce in capitolo.
A mio sommesso parere, la stessa etimologia della parola eutanasia (dal suffisso eu=buona e il sostantivo thanatos=morte) indica in sé che esista, in determinate condizioni, una "cacotanasia"che è, per definizione, peggiore della prima.
Invitando, pur nel rispetto di qualsiasi opinione, tutti coloro che ucciderebbero la discussione con un "non è dato a noi mortali decidere della vita e della morte" ad astenersi dal commentare, devo precisare che il mio punto di vista prende le mosse da un difficile interrogativo: ci sono delle circostanze in cui si muore pur vivendo?
Credo che la risposta sia affermativa.
La morte nella morte attiene alla sfera medico/scientifica. La morte nella vita attiene a quella sociale. L'avvento della prima coincide con quello della seconda. L'avvento della seconda rende totalmente ininfluente quello della prima.
La mia idea è che la vita termini nell'esatto momento in cui si smetta di essere utili.
Quest'ultimo aggettivo non ha necessariamente una connotazione altruista.
Si può essere utili agli altri come lo si può essere a sé stessi. Anzi, in fin dei conti, si è utili a sé stessi, in termini di gratificazione personale, anche quando lo si è agli altri.
Mutuando un altro passo dell'opera con la quale ho introdotto il post, si può affermare che il sapiente non ha da temere la fortuna (e, per estensione, la morte: il peggiore dei tiri che la fortuna possa giocarci) perché vive come se fosse prestato a sé stesso e dovesse poi ridare sé stesso a chi ne reclamerà la restituzione...ma non per questo avrà meno cura di sé. Male vivrà chi non saprà morire bene.
E non è un caso che proprio Seneca sia favorevole al suicidio, e lo consideri, in taluni casi, una pratica necessaria.
Incapace di reagire al dolore provocatogli dall'accusa di Nerone di aver partecipato ad una congiura contro di lui, decide di togliersi la vita, essendo crollato tutto quello che aveva costruito in una vita vissuta intensamente.
Si ha cura di sé fin al punto in cui ci è permesso, attraverso mezzi egoistici o altruistici, di essere utili a noi stessi, e il decidere di morire, se ci si considera già morti, non è altro che un estremo atto di cura verso di sé
Personalmente, non trovo nulla di sbagliato nel donare una dolce morte a colui che abbia scelto, in coscienza, di porre fine al suo dolore fisico, psichico, ed emotivo.

Massimo McMutton



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