venerdì, maggio 11, 2012

I "NIET" della Russia.

La Russia si chiama vicina all'Europa, e a volte, invece, mi sembra che non possa essere più lontana. Fra i paesi con la più grande concentrazione di malati di AIDS la Russia si classifica tra le prime dieci con 1 milione di casi di HIV/AIDS (ovvero l'1% della popolazione). Mentre in paesi come Europa e Stati Uniti il trend di crescita è praticamente fermo nonostante il virus e la prevenzione restino un problema (lungi da me dire che qui va tutto bene!), il numero di nuovi contagi in Russia sale in maniera esponenziale.
Fino alla metà degli anni '90, nel clima immobile e ascetico del socialismo, erano state diagnosticate ogni anno meno di 200 infezioni da HIV in Russia. I nuovi casi (ufficialmente registrati!) hanno cominciato a raddoppiare ogni anno dal 1996 in poi. Fonti nazionali ed internazionali stimano che il numero effettivo di infezioni ora sia fra 1 e 2 milioni. La maggior parte delle infezioni da HIV vengono diagnosticate tra persone di età inferiore ai 25 anni.
La ragione di questo macabro 'boom' di infezioni è che l'informazione e la prevenzione sono quasi inesistenti. La discriminazione nei confronti delle persone sieropositive è la norma in Russia, dove la gente spesso si sente costretta a nascondere la malattia da amici e datori di lavoro, per paura (certo non infondata) di essere rifiutata e stigmatizzata.
Fra un gruppo di persone affette da HIV/AIDS sottoposte ad un sondaggio (che potete trovare qui) una grande percentuale ha segnalato le discriminazioni con cui si sono scontrati, tra cui: essere costretti da operatori sanitari, o da forze dell'ordine (sic!), a firmare documenti attestanti la condizione di HIV positivi (47,9%), il rifiuto di assistenza sanitaria (29,6%), licenziamento dal lavoro (9,9%), od essere costretti ad abbandonare la propria casa e famiglia (9,0%). Oltre un terzo ha avuto probabile depressione clinica. Nonostante questo, i più sono rimasti sessualmente attivi dopo essere stati diagnosticati con HIV, circa la metà ha avuto rapporti sessuali non protetti con partner HIV negativi e non sono stati utilizzati preservativi un terzo delle volte anche con partner diversi. La maggior parte dei tossicodipendenti sottoposti al sondaggio ha ammesso di aver continuato a condividere siringhe.
Categorie già vulnerabili e stigmatizzate come donne, sex workers, tossicodipendenti e omosessuali anziché trovare assistenza vengono emarginate e lasciate in balia di solitudine e ignoranza.
Per esempio, invece di basarsi su prove scientifiche della riduzione del danno delle misure per trattare la tossicodipendenza, la politica russa tende a criminalizzarla e poi a nascondere la testa sotto la sabbia. Ci sono solo 70 programmi di distribuzione di siringhe in Russia per coprire ben 2 milioni di tossicodipendenti, e il metadone è illegale. (Ora, qui si potrebbe aprire una discussione accesissima sull'efficacia di questi programmi nell'aiuto alla tossicodipendenza di per sé, ma certo è che aiutino a limitare la diffusione del virus). Il sistema sanitario contribuisce a fare la sua parte: solo tra il 21 e il 29 per cento di adulti e bambini affetti da HIV in fase avanzata riceve terapia antiretrovirale, e come se non bastasse i pazienti sono trattati presso centri appositi, segregati dal resto delle strutture sanitarie.


Ma se questi dati vi sembrano sconfortanti, miei cari amici, è presto per abbattersi, perché dopotutto c'è un premio di consolazione: a nessuno straniero sarà permesso di ingrossare le fila degli infetti! I già strabordanti lazzaretti nazionali sono sempre più difficili da tenere nascosti e lontani dagli occhi e dal cuore del resto della popolazione. Quindi tutti gli altri dovranno starsene a casa propria. Per chiunque faccia richiesta per un visto della durata di più di tre mesi, infatti, è necessario sottoporsi a un test per l'HIV, e se il risultato è positivo nulla ci salverà da un tuonante “NIET!” all'ambasciata. Questa sì che è finalmente un'azione decisiva ed efficace contro la crescita spropositata dei contagi, altro che educazione sessuale nelle scuole! Prendiamo l'esempio di uno studente straniero meritevole e sieropositivo, mettiamo che abbia perfino accesso ai farmaci e sia ben informato sulla propria condizione, e che abbia già vinto una borsa di studio e ottenuto un posto in una delle prestigiose università pubbliche, beh questa persona si vedrà comunque irrimediabilmente revocato il diritto di studiare nella grande madre Russia. O di risiederci per più di tre mesi, ne avesse lo sghiribizzo. Anche se bisogna dire che, mettendosi nei suoi panni, non essere accolti da una 'madre' così preoccupata dalla figura che farà in società, che non ha mai avvertito dei pericoli dell'AIDS quand'era ancora in tempo e per di più ora si rifiuta di riceverlo, non sembra una perdita così grande.

fonti:


Giulia McNope










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giovedì, maggio 10, 2012

Ad un incrocio sulla via Emilia.

Giovanni Chiaramonte, Ponte sulla Via Emilia

Io e il ragazzo che fa il libraio siamo amici, ma lui non lo sa. Vado spesso a comprare i libri da lui, eppure ogni volta sembra che non mi riconosca. Vedo che sui suoi occhi cala una specie di patina biancastra quando lo saluto. Però è come se fosse un amico, almeno, da quando mi ha consigliato un libro. Non gli ho dato indicazioni specifiche, gli ho detto: "Fai tu." Come quando uno, passando davanti alla vetrina del barbiere, torna indietro, spinge la porta, vede che non c'è nessuno e sa già che quando gli verrà chiesto, risponderà: "Fai tu." C'è il brivido del rischio, ogni tanto si riscopre anche in queste cose qua. Non vado spesso dal barbiere, ma quando deciderò di farlo so già cosa gli dirò. Dicevo, il mio amico che fa il libraio, di cui non conosco il nome e lui non sa il mio, una volta l'ho sentito litigare silenziosamente nel negozio. Era prima che iniziasse la nostra amicizia non dichiarata e, vedendo come se la prendeva a cuore per una questione che mi sembrava legittima, ho capito che era la persona giusta a cui chiedere un suggerimento. Perché il terrore che a volte ti assale davanti agli scaffali delle librerie, fa tremare le gambe. Si stendono file policrome di titoli, autori, brillanti copertine, volumi massicci, trilogie, seguiti, critiche, saggi, in una carrellata dove le lettere perdono senso e bisogna fare affidamento ad un titolo noto, un libro già letto, per cercare un ormeggio sicuro. Quella volta sono entrato, deciso a non farmi trascinare da quel naufragio e ho subito chiesto il suo aiuto. Ha provato a sondare un genere, forse mi ha chiesto quali autori preferisco, ma non c'è stato niente da fare. Accompagnandomi con un bel paio di mani aperte, ho affidato alla sua esperienza l'ingrato compito di stupirmi. Ci ha pensato un po', ha sistemato alcune copie fuori posto, e poi ha preso un libricino dicendomi che lo amava molto e che lo stava rileggendo. Lo ha aperto alle prime pagine e mi ha detto di leggere la premessa.
L'unica cosa che si può dire è che le cose capitano e noi dobbiamo lasciarle capitare. Ma queste cose che capitano hanno la virtù principale di sfracellarci la testa. Ugo Cornia, Sulla felicità a oltranza. Ha cercato di spiegarmi la storia: non si tratta semplicemente della trama.  È come sa raccontarti quella cosa, che conta. Quella cosa che hai visto, sentito, pensato una volta o mille e non riesci a descriverla.  È quel pensiero di Pavese appiccicato nella libreria triste della stazione di Pescara che non ti ha più lasciato. Adesso l'hanno tolto, quel poster. Il mio amico libraio mi ha detto: è la storia di lui che perde la zia ed i genitori in un arco di tempo velocissimo, quando non ha nemmeno trent'anni. E poi, dopo questa breve sintesi, non sapeva che altro aggiungere. Non so nemmeno io che cosa aggiungere, non riesco a compilare una recensione o a riassumere tutto quello che c'è in queste piccole pagine. Mi ha aiutato a capire certe cose che sono successe, e a farmele guardare come non avevo ancora fatto.
Ti coglie un senso di sorpresa, anche se avevi previsto già tutto,e da quel momento c'è qualcosa che ti afferra alle spalle sollevandoti a pochi centimetri dal terreno. Mentre te ne stai a penzolare, il tempo e i luoghi cambiano come piccoli scatti di un cubo di Rubik. Nel libro c'è una quotidianità che a tratti sento anche mia, ci sono le strade e gli incroci col semaforo dove splende una illogica allegria, come cantava Gaber. Anche lì, a due passi da un burrone, non siamo riusciti  a realizzare quanto ci facesse stare bene qualcuno, abbiamo alimentato una speranza e cercato di infondere coraggio perché ci sembrava l'unica cosa giusta da fare. Cercare di rispondere con forza non fa altro che aumentare la spinta all'indietro che schizzerà come un elastico, un attimo dopo che i nostri piedi avranno di nuovo poggiato per terra. Non sei più tu, qualcuno dice, e con rabbia ammetti che ha ragione e allo stesso tempo lo abbandoni, perché sai che è la cosa più sensatamente stupida che vuoi sentirti dire. Fai del male senza saperti scusare, un giorno vale l'altro, dove ero in quel momento? È vero allora che non ero veramente io?
C'è una teoria psicologica che si chiama confederazione delle anime. Ne parla anche il dott. Cardoso a Pereira, spiegando che il nostro essere è il risultato di un io egemone che si impone sugli altri. Alle volte sorge un altro io egemone che spodesta quello dominante e ne prende il posto. Per attacco diretto o per erosione. Sono le cose che capitano, a dare una svolta al nostro modo di essere. Le tante anime che collezioniamo non se ne stanno buone a chiacchierare tra di loro, ogni tanto rispuntano a fare lo sgambetto a quell'io che abbiamo deciso di indossare a un certo punto. Quando rileggo quella premessa sono felice di non trovarci la parola accettazione. Mi fa pensare che ci sono cose che vanno prese e fatte a pezzi più piccoli, masticate e ingoiate con una smorfia. In questo libro i bordi sono lisci, tutto il carico di vita da poggiare sulle spalle è levigato come sembra il mare sfiorato dal palmo di una mano. E nella felicità ad oltranza si ritrova l'amore, quello taciuto, quello che precede e a volte succede. È l'amore taciuto, non dichiarato e presente, mai sfiorato dalla voglia di dire "noi", una scelta che delimita il confine tra spensieratezza e dichiarazioni mai fatte. Ci sono delle cose ferme a certi anni che non riesco a muovere, dove non si posa mai la polvere.
E' così che il ragazzo che fa il libraio è diventato mio amico. Lui non lo sa, e non sa quanto mi abbia fatto stare bene il suo consiglio. Immagino il finale di Casablanca, dove Rick e Renault si allontanano nella nebbia, lasciando noi ad immaginare un futuro di leale amicizia e sigarette.
Dovrei dirglielo, al mio amico libraio, invece giammai.


Alessio MacFlynn








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martedì, maggio 08, 2012

Be Prepared. But not you!



Può allora essere una coincidenza che tutte le religioni rivendichino il diritto di legiferare in materia di sesso? Lo strumento principale tramite cui i credenti si impongono, gli uni sugli altri o sui non credenti, è sempre stata la loro pretesa a esercitare il monopolio in tale sfera.
(Christopher Hitchens - Dio non è grande.)

Jennifer Tyrell vive a Bridgeport, Ohio. Poco dopo aver iscritto suo figlio di sette anni tra i ranghi dei giovani Scout, le è stato chiesto di unirsi all'associazione. Un anno di volontariato e tante spille di merito guadagnate dal suo reparto ne hanno fatto un punto di riferimento per l'associazione e per la comunità. Questa fiducia è stata ripagata da un incarico di grande responsabilità, ovvero la gestione delle finanze del reparto. I bilanci, però, presentavano diverse irregolarità. Jennifer non si è tirata indietro ed ha fatto presente la questione al consiglio. Dopo una settimana è stata rimossa dall'associazione, con la motivazione che la sua presenza non incontrava gli alti standard che la BSA (Boy Scouts of America) richiede. E questo perché Jennifer è omosessuale. Sostenuta dall'indignazione del suo gruppo Scout, dalla comunità locale e dalla famiglia, Jennifer ha aperto una petizione on line per chiedere una sostanziale revisione delle politiche Scout in materia di discriminazione sessuale.  La petizione di Jennifer Tyrell è aperta da soli venti giorni ed ha gia raccolto 275.000 firme. Solidarietà è arrivata anche da David J.Sims, consigliere della Ohio River Valley Council of the Boy Scouts of America (BSA), che si è dimesso con una lettera di motivazioni dove ammette di non riconoscersi nelle politiche adottate dall'associazione. Deron Smith, direttore delle pubbliche relazione della BSA, ha dichiarato che nel programma dell'associazione non è incluso nessun insegnamento riguardo il sesso o l'orientamento sessuale e che non sia ruolo degli Scout introdurre questo argomento in un programma di educazione per i giovani. Questa presa di posizione non guarda alla realtà. Proprio perché questo argomento non viene affrontato all'interno dei gruppi Scout, la discriminazione e il disagio di chi non può venire allo scoperto vengono semplicemente ignorati. La sessualità di Jennifer è diventata un "problema" solo dopo il suo allontanamento, dato che nessuno, tra i ragazzi o i genitori, ha mai manifestato alcun tipo di disagio per questo motivo. 

Alessio MacFlynn










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lunedì, maggio 07, 2012

Vedi alla voce: dittatura.


Venner poscia i Giganti, al mal sì pronti,
Che spregiando i bei doni de la terra,
Vollon gustar gli alti nettarei fonti,
E ’l maggior ben, che fra gli Dei si serra;
Onde osar metter monti sopra monti,
E farsi scala al ciel per far lor guerra,
Ponendo con la lor mirabil possa
L’un sopra l’altro Pelio, Olimpo, et Ossa.
(Ovidio - Le Metamorfosi - Libro Primo)

Tre figli, due femmine ed un maschio, sono seduti attorno ad un registratore. Ascoltano la cassetta che contiene la lezione del giorno, dove le nuove parole vengono spiegate e definite. "Mare: poltrona di pelle con braccioli in legno. Autostrada: forte vento. Escursione: materiale duro utilizzato per costruire le piastrelle dei pavimenti. Carabina: bell'uccello bianco". 
Dogtooth, del regista greco Giorgos Lanthimos,  è la storia di una dittatura domestica. Un padre, con la complicità passiva e muta di sua moglie, costruisce un nuovo sistema di regole per il suo regno privato, sovvertendo alla base qualsiasi possibilità di un contatto col mondo esterno. I tre figli non hanno nomi. Le parole registrate sulle cassette hanno significati invertiti. A tavola si chiama telefono la saliera. 
Per far funzionare perfettamente questo meccanismo folle, l'uomo tiene costantemente in competizione i ragazzi, con gare di resistenza o interrogandoli come se fossero a scuola. Le ricompense sono distribuite sotto forma di figurine da attaccare alla testa del letto. Le punizioni sono violente ed esemplari.  Il grande giardino che circonda l'abitazione è l'ultimo spazio di libertà che hanno. Oltre la palizzata non si può andare. Solo il padre può uscire con la macchina. Lavora nell'ufficio di una fabbrica, ma i figli credono che faccia i suoi viaggi per visitare un altro figlio che vive al di fuori della casa. L'unica presenza esterna che viene tollerata è una ragazza, Christine, che lavora nella guardiola della fabbrica. Christine viene pagata periodicamente per fare sesso con il figlio più grande. I rapporti si svolgono meccanicamente, così come tutta la vita nella casa sembra essere solo un artificio schematico. Nessun dialogo suona spontaneo, le attività ricreative sono patetiche e monotone, come riguardare vecchi filmini girati in giardino. Oppure ascoltare un disco del "nonno", ovvero Frank Sinatra, mentre il padre traduce la canzone ai figli con un testo che esalta la sua bontà e celebra la felicità della famiglia unita. Nonostante il mondo esterno venga tenuto a bada in ogni modo e gli aerei che passano vengano fatti passare come piccoli modellini caduti dal cielo da raccogliere sul prato, cominciano ad aprirsi delle crepe. Un gattino entrato nel giardino diventa una minaccia. Il padre farà credere che il felino è il responsabile della morte del fratello che vive oltre la staccionata. Da quel momento addestrerà tutta la famiglia ad abbaiare, instillando una dose di paura che neutralizzi ogni desiderio di uscire. Christine, sfruttando i suoi incontri nella casa, comincia a richiedere prestazioni sessuali dalla figlia più grande in cambio di alcuni regali. In una di queste occasioni le presta due videocassette, senza pensare alle conseguenze. La figlia più grande comincia a sentire l'urgenza di crescere, di trovare l'emancipazione dettata dalle regole paterne. Diventare grande significa perdere un dente, il canino. Destro o sinistro non importa. L'attesa di questo momento impossibile è ancora più angosciante, dato che la ragazza impara intere battute dei film che ha visto di nascosto. Come se avesse appreso un vocabolario nuovo, i suoi fratelli hanno difficoltà a capirla. Una sera, decisa ad andare via, la ragazza stacca, con l'aiuto di un peso, il suo dente. La fuga finale, in uno stile che richiama l'epopea Omerica, sarà l'evento cruciale che destabilizzerà l'intero ordine di questa dittatura domestica.

Alessio MacFlynn








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