La Cina ha una lunga storia di slogan e
frasi fatte. Durante l’epoca di Mao ne sono stati coniati a centinaia, per poi
essere stampati su poster colorati ed affissi alle pareti di tutto il Paese, diffondendo in questo modo il messaggio e la linea d’azione della leadership al
potere. Questa tradizione è ancora in uso, adattata a tempi e contesti del
ventunesimo secolo. Se nel 1966 uno slogan comune sarebbe stato ‘Infinitamente fedele al Grande Leader Mao, infinitamente fedele al pensiero
del grande Mao Tse-tung, infinitamente fedele alla linea rivoluzionaria del
Presidente Mao’, oggi Xi Jinping, neo segretario generale del
Partito Comunista Cinese, ha deciso di risparmiare parole, promuovendo la nuova formula: ‘Il sogno cinese’.
Fin dalla sua prima apparizione lo scorso
novembre, questa frase è stata usata costantemente nei discorsi
ufficiali, e, come da tradizione, è apparsa a grandi lettere sui muri di tutta la Cina.
Tuttavia, non è chiaro cosa
ci sia dietro a questo slogan in termini pratici. In occasione del summit tra
Xi e Obama lo scorso 11 giugno, il leader cinese ancora una volta ha parlato
del sogno cinese, questa volta descrivendolo come ‘un sogno di fortuna, di
rinascita delle minoranze, di felicità per il popolo, di giustizia, sviluppo e
cooperazione’. Ma a cosa si riferisce Xi Jinping quando dice che la Cina ha un
sogno di felicità, o di sviluppo? La felicità di chi? E lo sviluppo di chi?
Per raggiungere lo sviluppo, principalmente inteso come crescita economica e mascherato dalla promessa di una
redistribuzione della ricchezza, negli ultimi decenni la Cina si è impegnata in
mastodontici progetti di industrializzazione con enormi costi umani, tanto che ora il paese è vicino ad un suicidio ambientale. L’inquinamento dell’aria e dell'acqua raggiunge costantemente nuovi picchi record, e il China Daily il mese
scorso ha definito la maggior parte delle metropoli cinesi come ‘appena
adatte alla sopravvivenza’. Questa realtà, che
un tempo interessava principalmente le aree più industrializzate sulla costa, oggi riguarda anche le province occidentali come lo Yunnan e il
Sichuan.
Nello specifico, è proprio a Kunming, la
capitale dello Yunnan, che il mese scorso centinaia di manifestanti sono scesi in più occasioni nelle strade del centro per protestare contro le
sfrenate politiche industriali del governo locale. Le proteste sono dirette al
nuovo piano di costruzione di un impianto petrolchimico; nello specifico,
l’attenzione degli ambientalisti è rivolta al rilascio nell’atmosfera di PX (p-xilene), un agente cancerogeno usato nella produzione di poliestere e bottiglie di plastica.
In tutta la
Cina le proteste per l'ambiente sono aumentate del 120% tra il 2010 e 2011; negli
ultimi due anni, le manifestazioni più importanti sono state quelle di Dalian e
Ningbo, dove nel 2011 e 2012 migliaia di persone hanno protestato contro
un’ulteriore espansione nella produzione con il rilascio di PX. I risultati di queste contestazioni sono stati diversi: a Dalian, in un primo momento, le autorità avevano promesso di
chiudere il complesso che utilizzava PX, per poi riaprirlo in un secondo
momento. A Ningbo, invece, le proteste sono continuate anche dopo le promesse di
sospensione del processo di produzione, in parte perché in molti sospettavano che il
governo non avrebbe tenuto fede alle promesse date.
Il coinvolgimento della società civile sulle tematiche ambientali non soltanto è visibile nel numero di cittadini che prendono parte alle manifestazioni, ma anche nella moltitudine di discussioni che
sorgono online su forum, blog e social network; migliaia di persone in tutto
il paese stanno dibattendo online il caso di Kunming. Su piattaforme come QQ e
Weibo vengono espressi diversi punti di vista, mostrando eterogeneità nel modo
in cui i cinesi pensano e discutono dei problemi ambientali. Mentre è possibile trovare articoli e commenti in cui è spiegato in termini accessibili gli effetti dell'emissione di PX nell’ambiente, altri post riportano le paure di studenti che
sono stati minacciati dai loro istituti, sospettati di aver preso parte alle
manifestazioni. E mentre sono in molti ad essere contrari
all’apertura del nuovo impianto, altri condannano le nuove generazioni per
le dimostrazioni antigovernative.
Le proteste di Dalian, Ningbo e Kunming,
che coinvolgono in gran numero la classe media urbana, non aspirano a diventare una
rivoluzione. I manifestanti non chiedono un cambio di governo, ma un governo
migliore. La società civile è sempre più interessata e preoccupata dalle
tematiche di degrado ambientale e spesso si oppone al modello di crescita a
tutti i costi che è stato messo in atto negli ultimi decenni, rappresentando
quindi un cambiamento nel significato del ‘sogno cinese’.
Se questo cambiamento verrà preso in
considerazione dalla leadership, e in che modo Beijing vi risponderà, non è
ancora del tutto chiaro. Nonostante ciò, alcuni passi verso una presa di
coscienza riguardo le problematiche ambientali sono già stati intrapresi: la
settimana scorsa, per esempio, la Cina ha lanciato la prima giornata nazionale a
bassa emissione di anidride carbonica e molte megalopoli hanno isitutito un
tetto massimo di emissioni nell’atmosfera e programmi commerciali con lo scopo di
limitare i livelli di inquinamento. Il governo regionale dello Yunnan (di cui
Kunming è il capoluogo) ha avviato, in concomitanza con altre regioni, un
programma di cattura e sequestro del carbonio (CSS): a partire da questo accordo, la compagnia di investimenti
forestali dello Yunnan venderà carbon credits (crediti per l'immissione di una tonnellata di anidride carbonica nell'atmosfera) per un valore di 174 mila
dollari ad una compagnia metallurgica nel Guandong: parte dei profitti
verrà poi reinvestita per piantare e mantenere una foresta di bambù che
assorbirà e purificherà una quantità di carbonio equivalente al numero di
carbon credits venduti.
È difficile prevedere se questi programmi
avranno successo e quali cambiamenti apporteranno nella pianificazione a lungo
termine nell’industrializzaizone e nello sviluppo della regione. È anche molto poco
probabile che chi ha sofferto di più le consequenze dello sfruttamento ambientale, come
i contadini e gli allevatori della zona, riceverà alcun beneficio dal mercato
delle emissioni. Questi nuovi programmi potrebbero anche solo essere una
concessione strategica del governo regionale per allontanare l’attenzione della
società civile dalla costruzione dell’impianto petrolchimico o dal completo
degrado e inquinamento del Dinachi Hu, il lago nelle vicinanze di Kunming. Ciò
che è certo è che giornate a bassa emissione di anidride carbonica o programmi di cattura e sequestro del carbonio possono essere al massimo il primo passo verso un
necessario cambiamento nelle politiche ambientali.
Osservare il modo in cui la Cina
fronteggerà la sfida ambientale e le pressioni da parte della società civile sarà un test per capire cosa c’è dietro il’ sogno cinese’. Più ricchezza? Un ulteriore balzo
in avanti del PIL? O uno spostamento verso politiche di sviluppo a più ampie
vedute? I prossimi mesi saranno cruciali per capire quale linea d’azione
deciderà di prendere la nuova leadership per il futuro del Paese, e la felicità
e lo sviluppo di chi è tra le finalità del nuovo ‘sogno cinese’.
Laura McMasala
Questo articolo è stato pubblicato in
inglese da McMasala sul giornale inglese ‘Peace News’: http://peacenews.info/blog/7282/china%E2%80%99s-dream
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