Nato in Canada, qualche volta aveva l'impressione di essere condannato a percorrere con le spalle sbilenche le vie di un mondo in cui non si raccapezzava. Una spalla incurvata all'ingiù, gemente sotto il peso del suo retagggio ebraico ( roghi sulla piazza del mercato, le sfrenatezze dei cosacchi impazziti, le camere a gas, ma anche Mosè, Rabbi Akiva e Maimonide); l'altra proiettata verso il cielo, bramosa di un'eredità, qualunque eredità, più significativa della costruzione di una ferrovia transcontinentale, di una reputazione di onestà nei commerci, dell'eccellenza con gli sci ai piedi.
(Mordecai Richler - Joshua allora e oggi)
Da una parte la ricchezza e il dolore del passato e dall'altra la voglia di ritagliare per se stessi un nuovo spazio. Una letteratura a due spalle, come quelle di Joshua Shapiro. Quel Joshua Shapiro. Capelli folti, viso butterato, sguardo sveglio, una volontà attenta e ben sviluppata. Un figlio di St. Urbain Street cresciuto in una famiglia atipica, sicuramente bizzarra per gli standard del quartiere. Suo padre Reuben, con un passato da pugile professionista, segue l'educazione del piccolo Josh impartendogli lezioni ispirate ai passi della Bibbia che ha studiato da autodidatta durante le trasferte. Ma solo fino a pagina 1180. Esther, sua madre, non è esattamente la tipica baleboste rinchiusa in cucina a preparare latkes. La festa per il bar mitzvah di suo figlio regala al lettore uno dei momenti più esilaranti del libro.
Joshua vuole conquistarsi una pagina di eroismo. Il suo lavoro di giornalista gli permette di inseguire il fantasma della guerra civile spagnola e di approfondire gli studi per poter costruire un libro che la racconti attraverso le voci dei protagonisti. Per farlo, non si accontenta delle pubblicazioni che riesce a reperire, vuole toccare con mano quel momento che non ha potuto vivere in prima persona. Ibiza è un luogo inconsapevole del futuro che l'aspetta. L'isola, dove sbarca una sera del 1952, è lussureggiante, il profilo delle case bianchissime accoglie i nuovi arrivati. I suoi abitanti vivono grazie alla pesca, il turismo è praticamente inesistente. Durante i primi giorni di permanenza, dopo aver familiarizzato con gli isolani, da una nave scende un uomo alto, dall'aria misteriosa, che mordicchia un bocchino d'avorio. È il dottor dottor Mueller: Joshua ha finalmente il suo avversario. Troppo giovane per aver combattuto, ma desideroso di mostrare i cojones, presto Joshua comincia a muovere le pedine per un gioco che lo porti a scoprire tutta la verità sul passato dello strano dottore tedesco. Uno scontro che porterà con sé per tutta la vita. Nonostante il matrimonio con Pauline, il pensiero di aver lasciato in sospeso i conti con il passato è un tarlo che scava nei giorni di Joshua. Ad alimentare la frustrazione saranno anche il fratello di Pauline e la sua migliore amica, in un insieme di intrighi che lo spingeranno a partire per tornare sulla sua isola e fare i conti con quella spalla ancora protesa verso l'alto.
In una recensione del New York Times uscita nel 1980, anno di pubblicazione di Joshua allora e oggi, Thomas T. Ewards provava a spiegare l'irriverenza di Mordecai Richler ipotizzando che lo scrittore canadese provasse gusto nell'essere odiato. L'articolo si chiudeva con un commento tiepido riguardo al romanzo, troppo simile, per certi versi, ai suoi libri precedenti. Richler era abituato alle critiche, non si lasciava spaventare da una recensione negativa o da un'accusa qualsiasi. Sicuramente era meno abituato ad un successo come quello che seguì alla pubblicazione del suo ultimo libro. In Italia, in particolar modo, l'euforia per La versione di Barney aveva mobilitato critici e giornalisti ansiosi di fare la conoscenza dell'Eroe col Montecristo tra le labbra e il bicchiere sempre colmo di Macallan. Quella che era finita sulle pagine non si trattava di una biografia, naturalmente, eppure tutto faceva pensare che Panofsky e Richler fossero praticamente la stessa persona. Su questa ossessione di voler far combaciare autori e personaggi, Mordecai aveva scritto già molte volte. Ad esempio per Hemingway, nel tentativo di ribadire l'importanza della sua scrittura rispetto alle incongruenze della sua biografia: "Ecco la verità. Hemingway era uno scrittore". E così per Salinger: "Se però Holden avesse telefonato al suo celebre ma eremitico creatore, J.D. Salinger, è probabile che questi gli avrebbe chiuso il telefono in faccia". Il lavoro di Mordecai Richler non ruotava attorno alla costruzione di un alter-ego, nonostante la nascita e l'evoluzione delle storie avesse un richiamo molto forte con la sua biografia.
In un'intervista del 1989, Mordecai Richler aveva dichiarato: Penso che il romanzo sia la continua ridefinizione del mondo in cui viviamo. (..) Quello che si cerca è una voce. Prendi un romanzo di uno come Faulkner o Hemingway e ti basta leggere tre pagine per sapere chi l'ha scritto. Ed è quello che uno dovrebbe domandare ad uno scrittore di romanzi.
Per la maggior parte dei lettori italiani la scoperta di Mordecai Richler è cominciata con il suo ultimo libro. Non credo che il percorso a ritroso nella sua produzione debba essere concepito come una ricerca dell'origine di Barney, ma più come la costruzione di un vero e proprio universo di voci, storie ed ambientazioni. Ogni romanzo è una finestra sul mondo di Mordecai Richler. Leggere i suoi libri è una passeggiata per le strade di Montreal. I ristoranti dei grandi alberghi, le case basse dei vecchi quartieri popolari, i bar delle strade secondarie. La sensazione è quella di conoscerla e di potersi orientare senza problemi. L'immersione e il dettaglio, quei due elementi che Philip Roth identifica nella costruzione dei ricordi, sono la chiave della scrittura di Richler.
E poi c'è l'umorismo. Un dannato senso dell'umorismo che rende maledettamente divertenti e coinvolgenti queste storie. Come quella di Joshua Shapiro.
Qui sotto potete guardare il corto animato ispirato al libro Le meraviglie di St. Urbain Street di Mordecai Richler (Adelphi, traduzione di Franco Salvatorelli). Inserito nella classifica del Laputa Animation Festival tra i migliori film di animazione e candidato all'Oscar nel 1977. Tradotto e sottotitolato in italiano.
Alessio MacFlynn
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