"L'estremo dei mali è uscire dal numero dei vivi prima di morire. E' meglio morire che vivere da morti".
Seneca - De tranquillitate animi
Poco tempo è passato dai risultati del referendum che boccia la proposta di legge che avrebbe dovuto impedire ai non residenti la fruizione del servizio di suicidio assistito prestato in Svizzera da associazioni come Dignitas.
Non entrerò nel merito delle tecniche, principalmente distinguibili, in ordine crescente di intervento esterno, tra eutanasia passiva, suicidio assistito, ed eutanasia attiva, e non polemizzerò neanche sul ritardo che l'ordinamento italiano patisce nei confronti di molte altre realtà nazionali (ad esempio, dal 2002 nei Paesi Bassi è legale l'eutanasia attiva, mentre, in Italia, si rispetta solo il sacro e inviolabile diritto del paziente di rifiutare le cure mediche), ma mi limiterò ad una disquisizione personale sulla necessità di tali pratiche , invitando chiunque ne abbia voglia a confutare o corroborare la mia tesi.
Per dovere di precisione, è giusto che chiarisca come si stia parlando di eutanasia "consensuale", e non dell'eutanasia commessa quando il paziente non è in grado di esprimere la propria opinione.
In questo secondo caso si aprirebbe il dibattito del ruolo dei familiari e del testamento biologico.
Tematica di non minore importanza, ma che, seppur molto attinente, può essere tralasciata ai fini dello svolgimento, promettendo una sua trattazione nel futuro prossimo.
La complessità dell'argomento, risultante delle numerose sfere del vivere umano nelle quali si addentra, è tale da rendere fragile qualsiasi giudizio, ma non per questo ci si può esimere dal discuterlo, proprio perché tale complessità va di pari passo con la sua importanza.
Varie e variopinte sono state le posizioni espresse a riguardo da menti illustri, ma di non minore importanza si possono rivelare le opinioni di coloro che, come il sottoscritto, generalmente non hanno voce in capitolo.
A mio sommesso parere, la stessa etimologia della parola eutanasia (dal suffisso eu=buona e il sostantivo thanatos=morte) indica in sé che esista, in determinate condizioni, una "cacotanasia"che è, per definizione, peggiore della prima.
Invitando, pur nel rispetto di qualsiasi opinione, tutti coloro che ucciderebbero la discussione con un "non è dato a noi mortali decidere della vita e della morte" ad astenersi dal commentare, devo precisare che il mio punto di vista prende le mosse da un difficile interrogativo: ci sono delle circostanze in cui si muore pur vivendo?
Credo che la risposta sia affermativa.
La morte nella morte attiene alla sfera medico/scientifica. La morte nella vita attiene a quella sociale. L'avvento della prima coincide con quello della seconda. L'avvento della seconda rende totalmente ininfluente quello della prima.
La mia idea è che la vita termini nell'esatto momento in cui si smetta di essere utili.
Quest'ultimo aggettivo non ha necessariamente una connotazione altruista.
Si può essere utili agli altri come lo si può essere a sé stessi. Anzi, in fin dei conti, si è utili a sé stessi, in termini di gratificazione personale, anche quando lo si è agli altri.
Mutuando un altro passo dell'opera con la quale ho introdotto il post, si può affermare che il sapiente non ha da temere la fortuna (e, per estensione, la morte: il peggiore dei tiri che la fortuna possa giocarci) perché vive come se fosse prestato a sé stesso e dovesse poi ridare sé stesso a chi ne reclamerà la restituzione...ma non per questo avrà meno cura di sé. Male vivrà chi non saprà morire bene.
E non è un caso che proprio Seneca sia favorevole al suicidio, e lo consideri, in taluni casi, una pratica necessaria.
Incapace di reagire al dolore provocatogli dall'accusa di Nerone di aver partecipato ad una congiura contro di lui, decide di togliersi la vita, essendo crollato tutto quello che aveva costruito in una vita vissuta intensamente.
Si ha cura di sé fin al punto in cui ci è permesso, attraverso mezzi egoistici o altruistici, di essere utili a noi stessi, e il decidere di morire, se ci si considera già morti, non è altro che un estremo atto di cura verso di sé
Personalmente, non trovo nulla di sbagliato nel donare una dolce morte a colui che abbia scelto, in coscienza, di porre fine al suo dolore fisico, psichico, ed emotivo.
Massimo McMutton
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