Acqua: votiamo (sì) ma discutiamo.


Non capita di rado che quando si parla di gestione privata di un bene la cui importanza condiziona la nostra esistenza ci sia qualche perplessità e qualche incomprensione sul reale significato di tale argomento, e sui suoi possibili risvolti.
Con il decreto Ronchi, sul quale fu posta la fiducia in data 17 novembre 2009, si è avviato un percorso di passaggio di consegne tra settore pubblico e settore privato per ciò che riguarda i servizi al cittadino.
Come ormai avrete compreso, trovo profondamente odioso risultare demagogico, non fosse per altro che per il poco rispetto che si dimostra nei confronti dell'uditorio quando non si evita di esserlo. Per questo motivo, darò una personale lettura su come un provvedimento in questa direzione non sia totalmente deplorevole, senza risparmiare, però, gli esempi su come questo modello sia difficilmente applicabile nel nostro paese.
Innanzitutto, bisogna fare un dovuto distinguo tra due concetti chiave: privatizzazione e liberalizzazione.
Il primo intende il passaggio di consegne dal pubblico al privato. Il secondo intende un aumento della concorrenza.
Nel caso di passaggio da pubblico a privato, si assiste ad una privatizzazione, a cui, però, a volte, non segue una liberalizzazione.
E questo può essere causa di gravi problemi.
Nel caso in cui ci sia privatizzazione senza liberalizzazione, gli eventuali extraprofitti, ossia, quei profitti derivanti da una posizione da offerente privilegiata (per intenderci: il monopolio), oppure, le eventuali carenze di gestione, passano semplicemente da una mano pubblica ad una privata.
Se a questa segue una liberalizzazione, attraverso un ampliamento della quantità di offerenti, si innesca un processo di aumento della concorrenza che, il più delle volte, risolve i suddetti problemi.
Faccio un esempio spicciolo.
Mettiamo il caso che un determinato bene X sia prodotto dallo Stato. Questo bene X, pur essendo destinato ad una determinata funzione, non svolge correttamente il suo lavoro. Tuttavia, solo per il fatto che questo bene DEVE essere prodotto esclusivamente dallo Stato, non c'è nessun altro offerente in grado di produrre il bene X in maniera migliore.
Il discorso calza anche se lo Stato vende il bene X ad un prezzo troppo elevato rispetto ai costi che sostiene e non si permetta ad un altro produttore di vendere ad un prezzo minore.
Nel caso di privatizzazione (persistendo una situazione di monopolio), tutti i problemi di cui si è parlato non vengono risolti, ma cambiano semplicemente "proprietario".
Nel caso di liberalizzazione, invece, attraverso un regolamento che permetta a più offerenti di produrre e vendere un determinato bene, tali problemi vengono, IN LINEA TEORICA, risolti.
Tendo a sottolineare che ciò avviene in linea teorica perché il corretto funzionamento di tale meccanismo pretende che tutti si comportino in maniera corretta. Ad esempio, non si devono creare cartelli (accordi segreti tra produttorii), che limitino la concorrenza.
C'è da ammettere che il privato, generalmente, ha alcuni vantaggi rispetto al pubblico.
Ad esempio, i costi che sostiene, data la sua struttura più snella, sono minori.
Inoltre, nel privato le responsabilità vengono addossate direttamente in capo a figure che possono essere facilmente "eliminate" in caso di inadempienza.
Tutto ciò, in una situazione di corretta concorrenza, porta, in funzione di una diminuzione dei costi, ad una diminuzione del prezzo di vendita.
Infine, va anche sottolineato come sia necessario tagliare, là dove possibile, i costi per le finanze pubbliche.
Detto questo, allora: QUAL'E' IL REALE PROBLEMA RIGUARDANTE LA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA IN ITALIA?
Prima di rispondere, vorrei portare alla vostra attenzione due esempi di come il processo di privatizzazione in Italia sia stato fallimentare: il caso di Arezzo e quello di Agrigento.
In entrambi i casi, i benefici che ho declamato in precedenza non si sono minimamente visti...
Il problema sta proprio in quanto spiegato in precedenza.
Non avviene una corretta liberalizzazione, anche se la questione è un pochino differente.
In materia di liberalizzazione di servizi, dato che gli impianti sono di proprietà dello Stato, e che una cogestione locale sarebbe problematica, i benefici della concorrenza si dovrebbero applicare in fase di scelta del privato al quale affidare la gestione.
Ciò avviene attraverso l'appalto.
Infatti, se si facesse un concorso in cui ogni gestore privato di servizi presentasse un "progetto" in cui specifica quali andranno ad essere i suoi costi attesi, i suoi ricavi attesi (e, quindi, profitti=ricavi-costi) e i suoi piani di gestione, lo Stato potrebbe scegliere il "progetto" più valido e conveniente per le parti in causa.
E se a questo seguisse un'opera efficiente di vigilanza su quanto la realtà si riveli aderente a quanto proposto in fase di appalto dal soggetto privato, si avrebbe una realmente una corretta gestione e un vantaggio per il cittadino.
Detto questo, pur essendomi chiaramente rivelato un fautore della "mano invisibile" del mercato, trovo che questo modello sia applicabile unicamente in un "ambiente" che, quando non corretto, sia correttamente vigilato.
Questo spiega come in un'economia di mercato, a differenza di quanto credono molti, lo Stato debba avere un ruolo molto attivo, e creare ad hoc regole stringenti che permettano il corretto funzionamento del sistema.
Se lo Stato non lavora efficientemente , è giusto e sacrosanto recarsi alle urne e votare SI'

Massimo McMutton

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