Kofi Awoonor: La notte del mio sangue.

foto: Viviane Sassen

La Notte del Mio Sangue.

Ci hanno forse sussurrato il miracolo del tempo
raccontandoci sulle acque scure
Da dove siamo venuti?                        
Ci hanno richiamato a loro
Con la storia del tempo e dell’inizio?
Ci siamo seduti all'ombra dei nostri alberi antichi
mentre le acque della terra lavavano
si infrangevano sui nostri cuori,
Purificando, purificando.

Il purificatore sedeva in mezzo a noi
in un vestito di sacco e ceneri
Sorreggendo i fardelli
di questa gente. Toccò le nostre
fronti con vino di granturco inacidito
e ci cosparse i piedi
con il succo di jacaranda
Mentre come rugiada il baobab pioveva sulle nostre teste.

Conforta, dove la vostra calma si trova          
Assieme ai nostri dispiaceri e ai nostri peccati.
Sin dal principio abbiamo camminato
incontro alla terra del tramonto.
Eravamo un gruppo di malfattori
E di santi.

Il purificatore entrò nelle nostre ombre
portando lo scacciamosche dei suoi antenati
perché il suo compito non è finito.
Ci siamo addentrati tra le lacrime di rosa canina

Per consolare, si è mosso contro la
passione del riposo eterno

La traccia del nostro viaggio
erano le preghiere silenziose del purificatore.
Poi hanno chiesto se il raccolto
dovesse essere ammassato. Chi ha seminato il raccolto?
Non lo sappiamo, ma i mietitori
noi li conosciamo.
Loro che ululano tutta la notte nei vicoli
tornando ogni sera dai funerali
officiando ad un milione di veglie.
Consola, dove la vostra calma si trova.

Stringiamoci, riuniamoci ai nostri padri
Che sosteniamo il terrore di questo viaggio
Anche se inciampiamo nelle rose canine
portando i milioni di crocifissi del tempo.
Salvaci dal terrore del nostro fardello
Guariscici,
Gli alberi del deserto urlano con il vento che soffia
per le acque che si sono seccate
La sabbia che è finita negli occhi
che si spalancarono nel buio della notte
e c'era luce
ma non le silenziose preghiere del purificatore
Mentre portavamo il milione di croci
attraverso la vastità del tempo

Poi sono apparsi, i proprietari del terreno
Tra di loro c'erano gli amanti silenziosi
delle lunghe notti di harmattan; supplicanti
alla corte esausta dei padri.
Le ragazze che indossavano i fiori del deserto
Cannella e polline giallo di palma
Ondeggiando attraverso il sentiero battuto delle dita puntate
cantando canzoni che non potevamo sentire,
Abbattendo le glorie di un migliaio di santuari
e ballando.
Sporcando i sentieri lastricati dei padri
consacrati, e l'offerta
che essi portavano sulle tavole di legno
per chiedere la gloria della loro rinascita,
La loro preghiera di penitenza intonata
ai padri
Non per chiedere perdono.

Ci siamo seduti tra i rovi del deserto
masticando il cactus rinfrescato
dalle gocce di lacrime del passato
Festeggiando quelli che gridavano nel giardino del tempo,
rientrando nei terreni proibiti
esaltandoci da quella profondità al presente

le teste dei portatori si rivolsero al tramonto
in marcia attraverso la sabbie del deserto
cantavano una canzone di cui non riuscivamo
a percepire la musica.
Era la stagione del vento secco.

Noi siamo i figli della terra
che sopportano il ​​terrore di questo viaggio
per condurre i milioni di crocifissi del tempo.
Poi siamo arrivati ​​al fiume Mono.
Lì abbiamo piantato le nostre piante di fagiolo
Per non aspettare la stagione delle piogge.

Siamo poi stati noi i mietitori
Appena abbiamo riempito i nostri granai
Con i raccolti della terra
la terra straniera che non dava cibo da mangiare.

Abbiamo spalancato i cuori
Bagnati dal vento del deserto
per purificarci nel fiume sacro
I sogni di una terra nostra
per sempre;
di un mondo più felice.

Poi un giorno ci siamo mossi all'alba
portando con noi i resti
della festa di Pesach
inciampando nella luce calante del crepuscolo
che andava a rischiarare le foreste del sud.
Abbiamo marciato attraverso paludi e paludi
per ritrovare ettari di sabbia bianca
i tipici granchi di mare e il
lamento notturno della rana toro.
Un giorno, a mezzogiorno siamo arrivati​​;
mio popolo, siamo arrivati.

Le tegole luccicanti lavate di bianco
splendenti come il sacro ariete
che attende il sacrificio, il dardo dei frangenti che si spingono
nei fianchi dell'ariete scintillante
la schiuma del mare in cima al suo capo

I tamburi battono quel giorno e per molti giorni
e ancora battono per la liberazione
dal terrore del fardello di quel viaggio.


Kofi Awoonor, scrittore e poeta ghanese, è stato ucciso il 21 settembre durante l'attacco al centro commerciale Westgate di Nairobi. Night of My Blood è contenuta nell'omonima raccolta di poesie del 1971.  


1 commenti:

Anonimo ha detto...

Uccidere un poeta è un doppio crimine

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