Join Riot Tour!


Il ronzìo del ventilatore era sintonizzato perfettamente con quello del piccolo frigorifero in cucina. L'estate era così, un concerto per elettrodomestici amplificato dal silenzio da coprifuoco nelle ore pomeridiane. Marco, davanti al computer, teneva il tempo picchiettando le dita sul cursore, di tanto in tanto ascoltava una canzone. Durata effettiva della visualizzazione: 0.24 secondi. Cercava di non distrarsi troppo e sottraeva pagine aperte che si era ripromesso di leggere. Silvia era andata a fare la spesa. Il riverbero di calore che muri e asfalto risputavano fuori avvolgeva i passanti in un ventre secco e bollente. Stavolta era uscita lei per comprare un po' di cose che mancavano. Sempre le stesse. Anche pensare ad un pasto diverso pareva un esercizio troppo faticoso con quel caldo. La fantasia l'avrebbe lasciata a Marco, incaricato di cercare una destinazione per la breve vacanza di luglio. Sul monitor ad alta definizione le pagine aperte erano due: Corsica e Messico. La seconda era lì per farlo sospirare "chissà quando", la prima era quella che avevano scelto già dall'inizio, scartando altre opzioni fuori dalla loro portata. 
Telefono, messaggio. 
Era Giò: "Vedi il link che ti ho inviato su Facebook!!"  

In quel momento era tornata Silvia, con due buste piene, le chiavi tra i denti e i capelli spiaccicati sulla fronte sudata. Marco la stava aiutando mentre il video mandato da Giò occupava lo schermo intero e le parole uscivano dalle cuffiette attaccate al computer. 

- Che roba è?
- Non lo so. Me l'ha postato Giò.

Dopo aver versato dell'acqua in un bicchiere per Silvia, Marco aveva iniziato a riempire il frigorifero. Chiusi sportelli e ante, erano tutti e due davanti allo schermo per guardare quel filmato. 


Riot Tour, un modo diverso di viaggiare, recitava lo spot. Un'avventura nei luoghi dove erano avvenute le proteste e le manifestazioni degli ultimi mesi, almeno questo aveva capito Marco.

- Vai sul sito, secondo me è la svolta per quest'estate. Invece di farci la solita settimana al mare ce ne andiamo a vedere qualcosa. Magari non costa tantissimo.

Il puntatore ruotava tra le sezioni della home page, l'offerta era buona. D'altronde per Silvia poteva essere l'occasione per presentare un reportage ben documentato nella piccola redazione del giornale dove faceva lo stage. Una vacanza di lavoro. Marco aveva già una mezza idea di provare a fare delle fotografie con la sua nuova macchinetta. Sì, l'entusiasmo si era già materializzato nel dito di Silvia che toccava lo schermo per indirizzare il clic. 

- Brest? 
- Sì, Marco, apri la pagina. 
- Ma Brest non è quella di Brest Litovsk?
- Avanti, vediamo se ti ricordi.
- Ehm..trattato di Brest-Litovsk, guerra mondiale e... Niente, devo ricontrollare che non mi ricordo un tubo di storia.
- Si trova al confine con la Polonia. 
- Tre giorni, non sono molti. 
- Tre giorni sperduti in Bielorussia. 
- Ci scappa qualche bella foto, tu puoi anche scrivere un articolo.
- Era quello a cui stavo pensando. A te andrebbe?
- Mandiamo una mail, vediamo quanto vogliono. Per me si può fare. Dimmi un po' l'indirizzo...


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Il duty-free di Varsavia era una psichedelica palla di vetro spolverata da una neve di porporina. Gli scaffali, ordinatissimi, sembravano pensati per un'epoca che forse non era mai esistita. Lo scalo era durato poco più di due ore, giusto il tempo per familiarizzare con i negozietti dell'aeroporto. Marco camminava con lo sguardo incantato dai colori delle tazzine in finta porcellana. Probabilmente una mini bottiglietta di vodka l'avrebbe presa volentieri. Silvia era già in fila davanti al gate, tra poche ore sarebbero arrivati a destinazione.  

Scritto in pennarello nero, sul cartello di benvenuto, c'era il motto dell'agenzia: Riot Tour, be part of the change. Le mani che lo reggevano erano quelle di Alina, la guida specializzata. Mentre i partecipanti si avvicinavano, potevano annuire ascoltando il suo inglese perfetto e leggere le istruzioni stampate su alcuni fogli che stava distribuendo. Étienne e Leonard, di Marsiglia, Keenan, di Rotterdam e poi Bianca, italiana come Marco e Silvia.  

Sul minivan grigio UAZ 452 campeggiava l'adesivo Riot Tour. Non era un bus, come aveva promesso la pubblicità, ma il dispositivo wi-fi, montato tra il volante e lo sportello del guidatore, era attivo e funzionante. Alina si era offerta di aiutare tutti a sincronizzare le reti dei telefoni e dei pc portatili. Il ragazzo olandese teneva costantemente due dita infilate nella barbetta bionda e gli occhi sul suo iPad. Spezzava la sua posa solo per togliere i peli caduti sullo schermo con il dorso della mano. Le parole dei due francesi, invece, rimbalzavano sui finestrini leggermente abbassati. Era ovvio come nessuno dei due avesse intenzione di familiarizzare con gli altri passeggeri, anche se mostravano un sorriso di circostanza impeccabile quando l'eccitazione preconfezionata del viaggio lo richiedeva. 

- Les mauvais coups, les lâchetés...
- Quelle importance...
- Laisse-moi te dire...
- Laisse-moi te dire et te redire ce que tu sais...

Bianca, con una cuffia nell'orecchio, rassicurava qualcuno al telefono mentre frugava nella borsa. Marco aveva notato le testoline di due peluches che spuntavano fuori dalla sua Piquadro: un orso e un cane rosa. Le sospensioni del minivan facevano molleggiare le teste, e questo non aiutava Bianca nella ricerca di "Ma dove l'ho messo?", ragione più che sufficiente per rimandare la telefonata. 

- Ho dimenticato il caricabatterie.
- Forse è nella valigia.
- No, lo metto sempre in borsa.

Silvia si era voltata, domandando quale fosse il modello del telefono, "Ho il 6", e, coprendo il controcanto di Marco, aveva esclamato "Come il nostro!", offrendole quello che avevano in più. Dopo questo sipario di solidarietà, scongiurato il rischio di restare isolata durante i giorni successivi, Bianca aveva iniziato a rilassarsi. 

Carini i peluches!

Bianca lavorava per un noto settimanale, spesso si era trovata a fare l'inviata da qualche parte del mondo, ma, come diceva lei "Arrivavo sufficientemente in ritardo da non rischiare nulla". Il cane rosa l'aveva preso prima di partire per il Libano. Girando tra le macerie delle case, le carcasse delle macchine e i muri crivellati, lei e il suo fotografo provavano la location migliore per piazzare quel pupazzo e tirar fuori una drammatica foto ad effetto. "Un vecchio trucco, lo fanno anche certi grandi". Per questo viaggio aveva comprato un orsetto Trudi, le fotografie le avrebbe fatte lei stessa con la sua Canon EOS 60D. Silvia aveva già fatto un salto con la mente a quello che sarebbe potuto diventare il mestiere del suo futuro. Sentiva quasi la scossa della competizione. Era sicura che anche lei, un giorno, si sarebbe ritrovata nella stanza di un albergo frequentato da addetti stampa, seduta nel bagno a sporcare il pelo di un peluche a cui aveva appena cavato un occhio con le forbicine. Il caporedattore di Bianca aveva già inviato diversi messaggi per cercare di motivarla a fare qualche diretta via Twitter, ma lei, quasi seccata, era piuttosto scettica. "Ne so pochissimo di questo paese, documentata un po' su internet, speravo nella guida e nel tour per tirar fuori una storia". 
Il Dream Hostel si trovava a quattro passi dalla vulica Lienina. La struttura era stata completata di recente, la camerata dove avrebbero dormito odorava di vernice e i rubinetti erano ancora avvolti dalla plastica verdognola di protezione. Alina, dopo aver consegnato ad ognuno una cartina della città, si era raccomandata dicendo che li avrebbe aspettati il mattino dopo alle otto e mezza per iniziare il tour guidato. Sulla mappa erano indicati i locali del centro. I francesi, affamati, erano scomparsi immediatamente, continuando a parlottare. 

- Elle te tue à petits coups...
- Tu es l´agneau, elle est le loup...
- Un peu de haine, un peu d´amour...

Keenan era affondato in una delle poltroncine in finta pelle della hall, controllando i locali su internet, mentre Bianca tornava dalla reception dove aveva chiesto un adattatore. Con un cenno della mano aveva augurato la buonanotte a nessuno.  
Le strade di Brest erano tranquille, non c'era traffico. Un chioschetto vicino al fiume Mukhavets vendeva draniki appena fatti, servendo kvass profumato di menta. Silvia si era seduta su una panchina a mangiare. Marco, sfruttando le luci del baracchino,  stava scattando una foto al suo piatto. Aveva detto qualcosa, Silvia aveva capito solo "poi la mandiamo a...". 


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Nel bagagliaio del van troverete il vostro Rebel Kit. Per chi è venuto in coppia, la tenda è unica. Ho preparato delle slide per ognuno con la storia dei luoghi chiave delle proteste in Bielorussia. 

Parcheggiato il minivan vicino la piazza, Alina aveva richiamato l'attenzione del gruppo disposto a semicerchio attorno a lei. In Bielorussia le manifestazioni erano state prontamente represse con centinaia di arresti selvaggi. Quelle che alcuni giornali definivano le "proteste silenziose", avevano trovato la partecipazione di moltissimi cittadini ed erano continuate nonostante l'assenza di copertura dei media. Uno degli ultimi episodi riguardava una ribellione contro il governo per una tassa altissima sulle antenne paraboliche. In Bielorussia, infatti, oltre alla tv di stato, era possibile ricevere Biełsat TV, un canale che trasmetteva dalla Polonia e che riusciva ad eludere le censure. Lo stesso Lukashenko lo aveva definito un progetto stupido. Gli abitanti di Brest, in seguito a questa decisione, avevano staccato il segnale di parecchi televisori. Delle famiglie avevano lasciato il proprio fuori dalla porta, altre lo avevano gettato in strada.

- Ci sono ancora questi televisori per strada? Possiamo vederli?
- Proviamo a fare un giro, nel frattempo vi mostro il centro.

I partecipanti del Riot Tour erano immersi nello spirito della vacanza, finalmente coinvolti in quell'avventura.  Silvia prendeva appunti sul retro della cartina, scrutando Bianca che regolava le impostazioni della macchina fotografica. Anche Keenan, l'olandese, aveva deciso di abbattere le distanze, rivolgendosi a Marco per chiedergli qualcosa. 

E in Italia?

Grattando via un improvviso prurito al naso, Marco cercava di fare ordine per non mostrarsi totalmente impreparato rispetto a quella grande domanda. Aveva accennato a qualche episodio che conosceva, agli scontri tra polizia e manifestanti, alla politica impantanata su se stessa e alla gente che ormai non si interessava più a quello che stava succedendo. Era per questo che lui e la sua ragazza erano partiti: volevano vedere un posto dove poter respirare la vera oppressione e dove la ribellione fosse sentita da tutti. Keenan annuiva, prestando attenzione ai gesti caotici del suo compagno di tour che aveva terminato una frase affermando che le proteste degli altri paesi servivano a qualcosa, mentre in Italia non portavano da nessuna parte. Rallentando leggermente, avevano finito per ridacchiare sulla constatazione che, in fondo, la percezione generale non contemplasse una vera e propria assenza di libertà. "Ma su queste cose è più informata Silvia, io studio ingegneria informatica, non sono molto aggiornato su queste vicende".

Leonard e Étienne procedevano dietro ad Alina, senza smettere di discutere.

- Un homme marche, tombe, crève dans la rue...
- Eh bien personne ne l´a vu...




Con alle spalle le spettacolari statue del parco commemorativo della fortezza di Brest, Alina era in procinto di concludere la lunga giornata del tour. La storia della resistenza nell'antica fortificazione, mentre tutta la città era già caduta in mano ai tedeschi, aveva attirato l'interesse di altri turisti che passeggiavano nelle vicinanze. Silvia aveva fatto notare alla guida il paradosso di un monumento che assomigliava così tanto ai mascheroni dei presidenti americani scolpiti sul Mount Rushmore. L'esclamazione di Étienne e Leonard era stata un corale "Oui", mentre a Bianca veniva da ridere. Afferrando una spalla della ragazza, aveva suggerito che, se voleva trovare un paradosso, bastava fotografare una bottiglietta di Coca-cola in un ristorante del centro. Allontanandosi per evitare l'occhiata di Marco, che si trovava accanto a lei, la giornalista stava accedendo a Twitter dal suo telefono, probabilmente per ragguagliare la sua platea virtuale con questa brillante esternazione ancora fresca di approvazione taciuta. Accarezzando il collo di Silvia, Marco aveva sussurato qualcosa.

- Non la sopporto.
- No, neanche io. Ma è così che si fa strada in questo mestiere.

Grazie ad un permesso speciale, Alina era riuscita ad ottenere l'autorizzazione per far campeggiare i "rioters" nei pressi del parco. Keenan, assieme a Leonard ed Étienne, realizzava dei cartelli da piazzare fuori dalle tende, con qualche slogan imparato nel workshop tenutosi nel pomeriggio. Prima di salutarli, anticipando le attività della giornata conclusiva del tour, Alina aveva ricevuto una telefonata che l'aveva fatta allontanare. Bianca si era affacciata, togliendosi dal naso gli occhiali da lettura.

- Vedrete, ora verrà a dirci che dobbiamo sloggiare da qui. 

Dopo aver chiuso la conversazione, Alina si era affrettata verso le tende, le tremava la voce e Silvia aveva avuto l'istinto di prendere la borraccia dallo zaino per farla bere.

- Ho appena saputo che per domani mattina è prevista una grande manifestazione in piazza Svobody.

Radunati come una squadra nello spogliatoio, ascoltavano Alina ripetere la chiamata appena avvenuta. Uno scambio collettivo di abbracci era partito spontaneamente, fomentato dai cori dei due francesi che saltellavano attorno alle tende. Marco stava abbracciando Silvia, dandole il primo bacio della vacanza, ma teneva un occhio aperto per seguire Bianca che rientrava carponi nella Quechua per allertare la redazione. Silvia quella notte non riusciva a prendere sonno. Voleva scrivere una bozza per un articolo, mettendoci dentro tutto quello che aveva visto e incollando qualche piccolo approfondimento trovato sul momento tra le ricerche di Google. Per non disturbare Silvia, Marco si era seduto sul prato antistante, osservando in lontananza il faccione dell'eroe bielorusso. Le labbra serrate di quel gigante e le tende illuminate da una leggera luce bluastra formavano una composizione che sintetizzava la giornata appena trascorsa. Era arrivato il momento di dare il cambio a quell'uomo ignoto, impresso nella roccia. Aveva questa idea in mente, Marco, mentre tentava di immortalare quella scena. I colori della foto, troppo scuri, li avrebbe modificati una volta tornato a casa.
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Piazza Svobody, alle sette di mattina, ricordava una di quelle piazze di provincia dove davanti all'unico bar sostavano due o tre persone in attesa dell'apertura. Qualche taxi GAZ Volga passava vuoto e senza fretta, rallentando davanti a quell'insolito capannello riunito davanti al vicino istituto commerciale. Alina non si era ancora fatta viva e gli occhiali da sole di Silvia nascondevano la necessità di riposo, impastata con il residuo di adrenalina che non l'aveva lasciata dormire durante la notte. Keenan sembrava il più fresco del gruppo. Con l'aiuto dei due ragazzi francesi era salito su un albero per provare a fare qualche foto. Una prospettiva dall'alto era l'ideale per catturare un corteo numeroso. Appollaiato su quel ramo, aveva puntato l'obiettivo verso i suoi compagni, chiedendo di fargli un saluto. Si era girato solo Marco, con le dita in segno di vittoria.

- Ragazzi, sono già le otto e un quarto. Dove cavolo è finita Alina?
- Elle vous guette et joue au chat à la souris...
- E la gente che deve manifestare? Non è che hanno cambiato piazza?
- Mon jour viendra qu´elle se dit...
- Il telefono è spento e su internet non trovo nessuna notizia.

Bianca aveva iniziato a fermare alcuni passanti, tentando di farsi capire con un misto di gesti e inglese scandito ad alta voce. Silvia era stata più furba. Usando il traduttore automatico dello smartphone aveva mostrato ad una coppia di studenti la frase che aveva inserito: "Sapete se oggi ci sarà una manifestazione qui?". I due biondissimi ragazzi che si apprestavano ad entrare nell'istituto commerciale avevano alzato le spalle, salutando Silvia con un "sorry". Nel frattempo due poliziotti si erano fatti avanti per capire cosa stesse succedendo. Bianca, fingendo di non conoscere gli altri, aveva attraversato la piazza per entrare in un negozio. Marco, per non insospettire le guardie, aveva adottato la stessa tecnica di Silvia. Sullo schermo aveva composto la scritta: "Ci siamo persi. Potete dirci dove si trova il Museo Nazionale? Siamo turisti!". 


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Dopo quasi tre ore di attesa trascorse sulle panchine del parco, i due francesi avevano deciso di prendere l'autobus per l'aeroporto. Keenan, che si era aggiunto a loro, non riusciva a smettere di contrarre la mascella. Marco e Silvia erano rimasti seduti. Avevano proposto di scrivere una e-mail di lamentele, segnalando ai siti di agenzie turistiche il pessimo servizio offerto da Riot Tour. Dopo quell'ultima attività di gruppo, si erano divisi. Marco, poggiando la testa sulla spalla di Silvia, non sapeva come formulare il suo dispiacere.

- Peccato, i primi giorni stavano andando benissimo.

Bianca, tornando nella piazza, non era affatto sorpresa di vedere i due ragazzi ancora lì. 

- Ho fatto un giro della città, a quanto pare nessuno sa niente di questa manifestazione.
 - Faremo una mail collettiva per lamentarci, poi te la giriamo così puoi leggerla e firmarla.

Bianca aveva tirato fuori dalla borsa una busta di carta. Dentro c'erano una decina di cartoline e ne aveva regalate un paio a Marco e Silvia. "Saranno sempre più rare", aveva detto la giornalista. La smorfia di Silvia aveva accentuato l'ambiguità di quelle parole. I passi della donna che si allontanava non facevano rumore. Poco prima di fermare un taxi, si era avvicinata ad un cestino per gettare l'orsetto che aveva portato con sé. Quando era salita sulla vettura, Silvia si era alzata dalla panchina per andare a recuperare il peluche dalla spazzatura. 

Era pieno di macchie e gli mancava un occhio.

Alessio MacFlynn



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