Prendo spunto dalla puntata odierna di "Atlantide" su La7 per trovare un altro buon argomento in base al quale parlar male del mio paese.
In studio era presente Sergio Rizzo (autore de "La Casta" e giornalista del Corriere della Sera).
L'argomento trattato, tra gli altri, è stato quello della mala gestio del patrimonio artistico-culturale italiano, con annessa presentazione del nuovo lavoro a quattro mani (sempre con il collega de "La Casta") dell'ospite: "Vandali:l'assalto alle bellezze d'Italia"
Non si pensi, però, che trovi un gusto sadico nel denigrare il nostro "Bel Paese", in quanto, ogni carattere battuto mi comporta una grave sofferenza. Sofferenza,questa mia, che, però, mi sprona ancora di più a parlarne, nella speranza che si possa arrivare a non aver più buoni cattivi argomenti.
Per dare dimensione di questa sua notissima caratteristica, basti sottolineare il suo essere situata al primo posto per numero di siti inclusi nella lista dei patrimoni dell'umanità (UNESCO).
Per l'esattezza:quarantacinque. Ci seguono Spagna (quarantatré) e Cina (quaranta).
Ma, come ormai abbiamo imparato ad aspettarci, questo non si traduce minimamente in un vantaggio per il paese.
Probabilmente, come sostiene il Curitti, "ciò che ci caratterizza è ciò che ci condanna"
Intendo, l'Italia è talmente intrisa di storia che, ovunque ci si giri, si rischia di incappare in qualcosa di culturalmente rilevante. Infatti, l'Italia può, a ragione, essere considerata la patria della serendipity artistico-culturale.
Tutto questo può facilmente comportare difficoltà di gestione.
Questo dato di fatto, però, non può giustificare la così bassa resa economica che ci deriva dallo sfruttamento dei nostri siti.
E' stato calcolato, infatti, che il solo Metropolitan Museum di New York rende quanto tutto il "Sistema Italia", e che il solo suo parcheggio rende annualmente quanto Pompei.
Si capisce, quindi, quanto grandi siano i problemi di fondo.
L'Italia è, infatti, secondo una lista stilata dal World Economic Forum, al ventisettesimo posto per la competitività connessa al turismo. Nonostante l'abbondanza di siti, pesano molto su di essa prezzi, normative e cattivi servizi.
Altro argomento da trattare è quello delle condizioni in cui versano i nostri siti di interesse.
Molti di voi ricorderanno il crollo di parte del tetto della "Domus Aurea", oppure, quello a Pompei della "Domus dei gladiatori" e della "Casa del moralista".
Ma queste sono solo alcune delle conseguenze della cattiva gestione del patrimonio.
Mi limito qui a citarne alcune altre.
A Nola, la cosiddetta "Pompei della preistoria",datata 2000 A.C, la cui scoperta ha risuonato in lungo e in largo per il mondo, a causa dell' inefficienza delle pompe idrovore è sommersa dal fango.
A Paestum, invece di riportare alla luce un Tempio di Demetra la cui esistenza è stata accertata, si è deciso di costruirne uno di sana pianta che si ispira a quello sepolto (l'unica sottile differenza è la presenza del cemento armato).
Non mi viene così difficile pensare che, con una ricerca più approfondita, la lista diventerebbe molto più nutrita.
Voglio dare una mia lettura delle motivazioni e invitare qualche lettore benintenzionato a confutarla, o, in ogni caso, a dare la sua.
In cosa possono risiedere le motivazioni di un così palese disinteresse?
E' facilmente evidenziabile come una corretta gestione del patrimonio culturale crei ricchezza e indotto rilevanti (si veda il precedente esempio sul Metropolitan Museum), quindi, mi viene difficile pensare che le suddette motivazioni possano risiedere in un calcolo razionale di economicità.
Molto più semplicemente, anche con il rischio di sembrare demagogico, credo sia più probabile che si preferisca una distruzione di quella ricchezza della quale godrebbe una buona fetta di popolazione (si pensi anche alle ricadute occupazionali) in nome di una più ristretta distribuzione di altri tipi di introiti.
Tutto ciò avviene anche perché, a livello sociale, non è dato il giusto peso all'importanza della preservazione delle ricchezze culturali, ossia, non si comprende a pieno come ogni singolo monumento formi la coscienza nazionale.
Esisterebbe la romanità se non esistesse il Colosseo? E non sarebbe questa appartenenza maggiormente rafforzata se lo stesso Colosseo godesse ancora degli antichi fasti?
Questo discorso può essere benissimo esteso ad ogni singola zona d'Italia e ad ogni singolo monumento più o meno trasandato.
Ognuno è, quindi, tenuto a ricercare in sé una piccola parte di tutti i monumenti e luoghi artistico/culturali presenti nel nostro "Bellissimo Paese".
Massimo McMutton
Massimo McMutton
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