Delta



Amo i fiumi. Della geografia elementare è l’unica cosa che riesca a ricordare, ne studiavo malvolentieri la lunghezza, la portata, le terre bagnate, gli accorgimenti artificiali per domare, regolare o scatenarne lo scorrere. I dati statistici non fanno per me, e neanche gli sbocchi da produzione post-industriale. Le centrali idroelettriche invece mi piacevano, e mi piaceva l’idea di disegnare una casetta al fianco di un fiume. Non ho mai saputo disegnare ma era confortante l’idea di due mura stilizzate, un tetto, una porta e due finestre due a poca distanza dalla cascata del Niagara. E, mentre la mia mente ebbra di Tartarughe Ninja si chiedeva se fosse più pericolosa l’assenza di prospettiva o quella di argini, immaginavo una centrale idroelettrica come un enorme catalizzatore di proverbi cinesi, un edificio pensante e paziente seduto sulla riva ad aspettare il cadavere del nemico in forma di energia.

Non ci sono fiumi dove sono nato, non ci sono forme “verdi” di energia se non quella di sradicare ulivi per far spazio ai pannelli fotovoltaici. Ma non declamerò sterili invettive sul fascino che assumono i capelli, le fossette o le lentiggini che non abbiamo. Un determinato tono di voce, lo schioccare di dita, la capacità di fischiare. “A volte non è importante come si inizia quanto il modo in cui si arriva”, è una stronzata, ma per i fiumi no. Non ho mai ricordato le sorgenti, le catene montuose, i ghiacciai. Sono uomo di mare e pianura, non tendo il braccio aspettando che la bottiglia si riempia di freddo e condensa. Le foci invece mi piacevano, mi piacevano i sedimenti, i fenomeni di erosione e trasporto. Nei libri non c’erano le carcasse di animali ma probabilmente mi sarebbero piaciute anche quelle, senza energia però, quella non serve. Alla foce quel materiale da costruzione trascinato a forza per chilometri e chilometri diventa balera, pista da ballo in riva al mare. E i cartografi pestandosi i piedi raffigurano i cambiamenti negli anni, un passo di liscio, la conformazione del delta.

Il delta è cosa ambigua, è il rivolo di tristezza che rende gli uomini migliori. Quello del Nilo ha attinto dalle lacrime di Iside scatenando piene e fertilità, quello del Mississipi si è colmato di campi di cotone regalandoci il blues.

Il mio delta l’ho trovato sopra l’osso sacro, dove i glutei si incontrano e finiscono di separarsi. Dove bisognerebbe darsi fuoco per protestare contro i tatuaggi. Dove per digerire la parola glutei ho dovuto mangiare una barretta energetica. È zona franca, duty free dell’immaginario, sono due turni di prigione senza passare dal via e ingoiando la chiave. Quel delta è il migliore e forse unico motivo per tirare coca una volta nella vita. Riparo di pollici e palmi, pellerossa e folletti. La visione del delta è l’elevazione della virilità che ti fa sentire più fragile, una partita di flipper che sai già di aver perso.
E sudi freddo, e sorridi isterico, pensi che si potrebbe anche apparecchiare, posare un fiore, diventare credente. E anche se non ti piacciono i tatuaggi vorresti un pennarello Carioca, vorresti aver disegnato una casetta su quel delta, senza porta e con due finestre due.

Ma poi ti ricordi del rivolo di tristezza che rende gli uomini migliori, che non hai mai saputo disegnare, che sei uomo di mare e la terra è troppo ferma. E allora ti lasci cadere, fischietti un vecchio blues e ti rintani nel letto. Il letto di un fiume.

Andrea McManaman










Cliccate sul "like" per diventare Fan su Facebook,
sul "mi piace" per condividere il post sulla vostra bacheca,
e sul "tweet" per condividere il post su Twitter


0 commenti:

Posta un commento

 

Facebook

Archivio

Twitter

Tumblr