Probabilmente dovrei scrivere un
tagliente pezzo sulle contraddizioni dell'Ucraina (dalla Tymoshenko
maltrattata in prigione a come viene gestito il problema dei cani randagi) e su come questo mondo ipocrita ignori certi fatti per
reclinare le proprie poltrone e godersi lo spettacolo di ventidue
uomini sudati e sovrapagati che sfoggiano tatuaggi di dubbio
gusto correndo avanti e indietro su un prato gigante. E sarebbe
perfettamente coerente con le mie convinzioni (e nozioni) sul calcio
fino a non meno di una settimana fa. Quando ho cambiato idea.
A Berlino gli europei sono vissuti con
incredibile partecipazione e ti seguono dappertutto. Ogni bar,
ristorante, chioschetto e giardino è organizzato con schermi e
maxischermi che trasmettono le partite. Mentre si mangia sushi,
messicano o felafel, mentre si compra un pacchetto di chewing gum o
una birra non ci si perde un minuto di gioco. Ma la conversione per
me non è arrivata dall'esterno, ma dall'interno, ovvero dalla mia
cara amica (e coinquilina) tedesca, che dall'inizio del campionato
sfoggia una spilletta a forma di pallone, è fan di Ronaldo per
contraddire il gusto comune e creare scompiglio, ha guardato il
documentario sui mondiali del 2006 (Deutschland Ein Sommermärchen)
almeno dieci volte e stila e ristila classifiche dei suoi giocatori
preferiti in base ad aspetto, gioco e personalità: ha una forma
estrema di “Fußball Fieber”, la febbre del calcio, e mi ha
contagiata. Ciò non vuol dire che tutte le problematiche legate a
questi campionati siano sparite per magia o che ora io pensi non
valga più la pena parlarne. Solo che oggi preferisco raccontare del mio
riscoperto entusiasmo per questo momento di socialità e condivisione
in un paese che fino al 2006 non si azzardava a mostrare neanche un
centimetro della propria bandiera e dove tuttora alcuni bar avvertono
che non saranno tollerati canti, slogan o esposizione dei colori
nazionali (siano in forma di sciarpe, bandierine, magliette o trucco)
perché considerati troppo “nazionalistici”. (Se poi il concetto
di nazione sia di fatto obsoleto oppure no è tutto un altro
discorso!) A me sembra bello che i tedeschi possano finalmente
riappropriarsi dei propri simboli e che cerchino di ridargli un valore neutrale, positivo o
quantomeno staccato dalla politica. E mi piace come le partite siano
una scusa per le varie comunità di stranieri di riunirsi e sentirsi
un po' a casa. Si dice poi che dal 2006 non solo i tedeschi abbiano riconquistato il diritto di essere fieri della propria squadra senza essere etichettati come 'pericolosi e sospetti nazionalisti', ma che in più gli italieni abbiano superato il loro (sempre in agguato) complessino di inferiorità di vicini sempre liquidati come pigri e fanfaroni. Insomma, un mondiale di successi. Comunque sia, e per quanto lo sport sia un modo bellissimo ed efficace di esprimere e risolvere la rivalità fra vicini, io devo dire che mi sento più sollevata ora che (e qui scattano delle considerazioni abbastanza scontate quindi chi volesse salti pure al prossimo paragrafo) nonostante gli amici tedeschi continuino a usare la parola 'mafia' come sfottò, aggiunta simpaticamente al nostro ben conosciuto gesto con la mano (i famosi Decocco e Margheriti per cui gli americani a due anni di distanza non riescono ancora a smettere di ridere), non capitano più spiacevoli incidenti come ad esempio un orsetto gigante che insegue me ed altri amici in visita davanti alla porta di Brandeburgo gridandoci dietro 'Bunga Bunga'. Giusto per dire. E in questa bella e multiculturale Berlino, ora che mi sento abbastanza al sicuro da facili battutacce, non mi rimane che il piacere di osservare un tavolino di irlandesi, rossi e bianchi come le mele, circondati da un oceano di spagnoli, che nei loro tenerissimi accentini continuano ad esortare i loro undici Don Chisciotte. Ah, e di essere passati ai quarti!
Forse però è solo la Fußball Fieber che parla e mi rende così melensa e accomodante e quando sarò guarita rinnegherò tutto e scriverò invece il pezzo sui problemi dell'Ucraina.
Forse però è solo la Fußball Fieber che parla e mi rende così melensa e accomodante e quando sarò guarita rinnegherò tutto e scriverò invece il pezzo sui problemi dell'Ucraina.
Intanto per le prossime due settimane
dalle sei in poi sarò sempre e solo rintracciabile in un Biergarten,
con una Berliner, un tatuaggio sulla clavicola di un pallone che dice “Gol!”
trovato nello yogurt e un santino di Mats Hummels
appoggiato al cuore.
Giulia McNope
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