Soundwalk e altri rimedi contro l'epilessia.


Se soundwalk, paesaggio sonoro, percezione acustica dell’ambiente, sono concetti a voi sconosciuti, siete nel posto giusto per continuare ad ignorarli. Sappiate solo che, nel lontano 1977, mentre Sid Vicious faceva finta di suonare nei Sex Pistols, un musicologo canadese di nome Raymond Murray Schafer scrisse “The Tuning of the World”, un libro pionieristico che mirava ad insegnarci "a porgere l'orecchio ai rumori del mondo, come se fossero un'enorme composizione musicale".
Sulla base di questa bibbia è stata creata, ed è in continua evoluzione, una mappa sonora mondiale. Un archivio di suoni provenienti dalle più disparate parti della Terra che possano caratterizzare un tale luogo in un determinato lasso di tempo. Per intenderci: avete voglia di sapere in quale stato di salute sono gli sciacquoni di Auckland? I gargarismi in Burkina Faso? Il rumore di uno sputo atterrato su suolo argilloso a Nuova Delhi nel ’99?
Avete solo da servirvi.

A Bologna, qualche giorno fa, si è tenuto un workshop. Dico qualche giorno fa solo per non far trasparire la mia lentezza nello scriverne. Dico workshop solo per farmi del male. Ma parliamone, workshop di per sé è già una parola importata, di quelle utili solo a laboriosi fruitori di happy hour. In più è una parola composta da due termini a me particolarmente ostili, aggiungiamo che era Venerdì e diluviava. Insomma, per far sì che mi presentassi, avrei dovuto immaginare che una soundwalk fosse un evento caratterizzato da un manipolo itinerante di musicisti ubriachi dediti a cazzeggio, goliardia, rapporti occasionali e degustazioni.
C’avevo creduto.
In realtà ero all’oscuro di qualsiasi nota bibliografica ebraico-canadese e dell’evento sapevo si trattasse solo di una "passeggiata sonora" sotto il porticato che porta al Santuario della Madonna di San Luca. Per chi vive a Bologna quei quattro chilometri al riparo da eventi atmosferici sono una tratta tipica, e non c'entra la religione. È una parte della città, non solo architettonicamente parlando: è parte della città la gente che sale i gradoni correndo, ascoltando musica, schiarendosi i pensieri; gli anziani che dialogano tra loro o che portano a spasso il cane, i genitori che fanno sfogare i figli pestiferi.

Arrivo all'appuntamento fradicio d'acqua e cattive intenzioni. Vengo accolto da una piccola ciurma priva di alcuno strumento musicale ma satura di tic nervosi, paresi facciali ed esperienze di vita difficili. In pratica una comunità di recupero. A capo c'è l'organizzatore del progetto e, con mia somma sorpresa, è Billy Corgan! No, non è uno che somiglia clamorosamente al cantante degli Smashing Pumpkins, è Billy Corgan in persona se fosse nato e cresciuto a Bologna ma senza essere stato picchiato abbastanza da piccolo. Ha un cappellino storto in testa, e, chi mi ha letto in passato, sa già della mia intolleranza nei confronti dei copricapo obliqui (vedi Dylan Dog n.187 "L'amore ai tempi della diossina"). Ci introduce subito nel magico mondo della soundwalk e, colpo di scena, nessuno suona nulla: si registra. Si registra cosa? I suoni della strada, l'ambiente circostante, fotografie acustiche scattate con l'indice della percezione urbana. Ed è a questo punto che uno "sticazzi!" ebbro di gioia e vanagloria fa retromarcia e mi si strozza in gola. Hanno già tutti i registratori in mano, sono in trappola. Un uomo sulla cinquantina al mio fianco ha le cuffie e imbraccia un arnese che credo abbia rubato ai Ghostbusters, può sentire tutto. Lui non mi guarda ma sa che ho il sopracciglio alzato, l'ha sentito.

Così sfodero la mia collezione autunnale di facce di cazzo, anche quando sento frasi del tipo "Dobbiamo impegnarci a tirar fuori il terzo occhio, che poi sarebbe un orecchio" oppure "Registrate sempre, anche il silenzio è un suono" o, più tardi, "Sai, io e Billy Corgan abbiamo in progetto di unire lo yoga alla musica elettronica". Ebbene sì, parte del gruppo è formato da dj. Ma la cosa più strabiliante è che in serata ci sarà un concerto in cui i rumori urbani registrati saranno "suonati" e mixati, per un pubblico che probabilmente non era nato quando le droghe si tagliavano ancora decentemente.

Il vantaggio di fare una scarpinata in compagnia di ex dipendenti da chetamina è che hanno meno fiato di te, ti fanno sentire Alex Schwazer. No, magari questo è l'esempio sbagliato. Fatto sta che ci si ferma spesso, e nelle pause prende parola l'Etrusco, un personaggio dall'aria sobria e dalla dialettica compassata. Lui ci narra della storia dei portici di San Luca, ma anche di esoterismo, magia nera, ghematria e c'è mancato poco non tirasse fuori il sudoku. Tutto questo perché gli archi che portano al santuario sono 666, il numero della bestia citato nel libro dell'Apocalisse. Ora che la cifra sia strana siam tutti d'accordo, che la passeggiata in questione dia un nuovo senso alla definizione di ridicolo pure, ma costringermi a cercare ghematria su Google mi sembra una violenza gratuita e infingarda. Tant'è che mi concentro sui volti circostanti. Un tizio fa le bolle con la gomma da masticare, un altro guarda un punto fisso e tira dei calcetti ad un nemico invisibile.

Quando si arriva in cima la nebbia impedisce di godersi il panorama dall'alto e permette nuovamente all'Etrusco di arringare la folla. Uno dei dj risponde al telefono e comincia a parlare ad alta voce in siciliano, l'oratore resiste ad una crisi isterica e conclude il suo saggio con una citazione di John Milton, giù applausi. "Grande Milton", "Il Paradiso Perduto è un capolavoro". Parole in codice che vogliono solo dire "è suonata la campanella!"

"Oh, ci si vede stasera al concerto! Comincia alle 22,30, noi siamo nel finale. Portate i registratori che vi facciamo suonare". Sì, come no, tu usa ancora il verbo "suonare" per il tuo Macintosh e il locale te lo faccio esplodere.
Che poi è un suono anche quello. Fa parte del paesaggio sonoro. Magari lo si archivia sulla mappa.
Anche Schafer approverebbe.


Andrea McManaman


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