Una poesia di Mahmud Darwish.



Chirine Haidar scrive che quel giorno faceva molto caldo a Beirut. Per le strade c'era la foto del poeta incollata qua e là, ma non selvaggiamente, come fosse l'immagine di un candidato o l'immagine di uno spettacolo. Chi aveva deciso di commemorare quella scomparsa, aveva avuto la sensibilità di non volgarizzarne la notizia. In quella foto c'era il sorriso discreto di un uomo elegante. Non era necessaria una didascalia per riconoscerlo subito. "Ne strappai una, la portai a casa e piansi."
La biografia di Mahmud Darwish è un incredibile racconto che affianca quello della sua terra, segnato dalle tappe storiche che hanno marcato in modo indelebile il rapporto tra la sua arte e il suo impegno. Quando aveva poco più di sette anni, fu costretto a lasciare, assieme alla sua famiglia, il villaggio di al-Birwa, spazzato via dall' esercito israeliano per far posto ai nuovi territori. Il primo volume di versi fu pubblicato quando aveva solo diciannove anni. La poesia che per prima mostrò la potenza della lirica di Darwish, fu Carta d'identità. Un vero e proprio manifesto della dignità oppressa che reclama il diritto di esistere.

Scrivi: sono un arabo; un nome senza titolo
e resto paziente in una terra
dove tutto vive con impulso di furia.
Le mie radici si sono ancorate qua,
prima del nascere del tempo
prima dell’apertura delle ere
anteriormente ai cipressi, agli uliveti
ed al crescere dellerba.

Nel corso della sua vita, Mahmud Derwish divenne uno dei portavoce più autorevoli del popolo palestinese. Una militanza nel partito comunista israeliano e successivamente l'adesione all' OLP definirono il suo percorso politico, culminato nella stesura della dichiarazione d'indipendenza palestinese nel 1988. Affrontò i suoi impegni, politici e letterari, sfidando l'ottusità di chi lo accusava di antisemitismo e rivelando agli occhi del mondo l'essenza di una tragedia raccontata, ancora una volta, solo attraverso gli occhi dei vincitori. Come lui stesso dice in Notre Musique di Jean-Luc Godard, "Sto cercando il poeta di Troia, perché Troia non narra la propria storia. E mi chiedo, una terra che ha grandi poeti, ha il diritto di controllare un popolo che non ne ha?"



Quando morì, Mahmoud Abbas dichiarò tre giorni di lutto. Un numero incredibile di persone volle rendergli l'ultimo omaggio, accompagnando il feretro verso la sepoltura su una collina che domina Ramallah. 

L'estratto che segue è tratto da Murale, edito da Epoché Edizioni.


Come il Cristo sulle acque,
ho camminato nella mia visione. Ma sono sceso
dalla croce perché temo l'altezza e
non annuncio la resurrezione. Ho cambiato soltanto
ritmo per sentire più chiara la voce del cuore.
Agli epici le aquile, a me il collare della colomba,
una stella abbandonata sui tetti,
una via che conduce al porto...
Questo mare è mio
mia quest'aria umida
mia questa banchina e ciò che dei miei passi
e del mio sperma v'è sopra...
mia la vecchia fermata degli autobus,
mio il fantasma e a chi appartiene.
Miei il vaso di rame, il versetto del trono, la chiave,
miei la porta, il guardiano e le campane.
Mio il ferro di cavallo
volato via dalle mura...
È mio ciò che era mio. Mio il ritaglio del foglio strappato
al Vangelo, mio il sale delle lacrime sul
muro della casa...
E mio il mio nome, anche se ne sbagliassi la pronuncia,
mio il mio nome di cinque lettere orizzontali:
la mīm del pazzo d'amore, dell'orfano,
di chi ha compiuto il passato,
la hā del giardino, dell'amata,
delle duplici perplessità e delle duplici pene,
la mīm dell'avventuriero, dell'esiliato forzato e
pronto alla morte annunciata,
del malato di desiderio,
la wāw dell'addio, della rosa mediana, della fedeltà
alla nascita dovunque avvenga, della promessa dei
genitori,
la dāl della guida, del cammino, della lacrima di
una dimora scomparsa e di un passero che mi
delizia e mi ferisce.
Mio questo mio nome...
e degli amici, ovunque siano,
e mio il mio corpo provvisorio, presente o assente...
Due metri di questa terra ora basteranno...
Per me, un metro e settantacinque centimetri...
e il resto per i fiori dai colori vaghi
che mi berranno piano,
e mio ciò che era mio: il mio ieri e ciò che mi apparterrà,
il mio domani lontano, il ritorno dell'anima errante.
Come se nulla fosse stato,
come se nulla fosse stato.
Una lieve ferita sul braccio del presente assurdo...
e la Storia si burla delle sue vittime
e dei suoi eroi...
Getta su di loro uno sguardo e passa...
Mio questo mare,
mia quest'aria umida,
e mio il mio nome,
anche se ne sbagliassi la pronuncia sulla bara.
Quanto a me - ormai carico
di tutti i motivi per il viaggio-,
io non sono mio.
Io non sono mio.
Non sono mio...


Alessio MacFlynn

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