Eduard Limonov, la Russia e il libro che li racconta.




Ci sono quei libri che ti fanno piangere, ridere, rimettere in discussione tutto quello che hai dentro e quello che sta fuori e ti parlano dritti all'anima. Libri che quando li hai finiti li vorresti subito ricominciare, che vorresti correre a incontrare l'autore e parlargli, abbracciarlo, riempirlo di domande. Credo che l'ultimo libro che mi ha fatto sentire così sia stato Chiedi alla polvere di John Fante. Fino a quando non mi sono accorta che una biografia di Limonov, scritta da un francese che non avevo mai sentito nominare, era stata tradotta in italiano e pubblicata da Adelphi. È uscito nel 2011 dopo più di quattro anni di gestazione e ha già fruttato al suo autore il prestigioso Prix Renaudot. Una volta dissi che, per capire cosa succede in Russia, bisogna leggere i racconti dell'assurdo di Pelevin, e lo penso tuttora, ma Carrère è tutta un'altra cosa. Innanzitutto si tratta di una biografia e non di un romanzo, ne viene che tutte le date e i riferimenti storici siano assolutamente accurati. Carrère è il candidato perfetto per raccontare la storia di Eduard Savenko, alias Limonov: nato in Francia con nonni emigranti russi, mamma storica esperta di Russia e Unione Sovietica, lui stesso giornalista con una cultura intimidatoriamente vasta.
Limonov è un personaggio estremamente contraddittorio ed intrigante, odiato dai più come persona (specialmente nell'occidente politically correct) ed ammirato come scrittore. Nasce nel '43, a Febbraio compirà settant'anni e tuttora si aggira ai margini della società culturale e politica russa. Ha vissuto personalmente tutti i più grandi cambiamenti politici del suo paese e del mondo, trovandosi sempre nell'occhio del ciclone o, quantomeno, provandoci. Ha combattuto in Ex-Jugoslavia dalla parte dei serbi, rimpiange l'URSS e il terrore che suscitava 'negli occidentali senza palle', odia Gorbacëv e ha fondato il partito 'nazionalbolscevico' in Russia, tutte cose che a prima vista a noi europei fanno rabbrividire e urlare al fascista. 

Ma come giustamente sottolinea l'autore, non è così semplice come sembra.
La chiave del libro di Carrère sta infatti proprio nel congiungere un punto di vista europeo, a noi familiare, ad un punto di vista russo, sconosciuto ai più, e nel riuscire a farlo senza diventare didattico, verboso o didascalico. Ci racconta la storia di 'un eroe dei nostri tempi', ma non si tratta né di un eroe edulcorato né di un antieroe comico, un loser che suscita il riso. Si avvicina più ad un Cavaliere dalla Trista Figura donchisciottesco, che non si batte però per un ideale di giustizia, bensì per il trionfo del suo personale superomismo.
La stessa dichiarazione di intenti è di scrivere questo libro per cercare di districarsi, lui per primo, nell'enigmatica figura di questo personaggio che ha conosciuto personalmente e a cui è legato da un rapporto di odio, ammirazione e curiosità quasi sociologica. Raramente ho letto delle pagine così oneste, lucide, impietose e umane allo stesso tempo, sia nei confronti di se stesso che del proprio eroe, mentre ripercorre tutta la sua vita, strettamente allacciata a quella dell'URSS, fino al suo sfacelo, e a quella della Russia contemporanea. Lo leggevo e pensavo: vorrei riuscire a vedermi come lui vede se stesso, vorrei essere capace di ciò che è capace. 
Esattamente come quando leggevo John Fante e pensavo: Arturo Bandini, c'est moi. 


Giulia McNope 

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