Mentre passavano le immagini del gigantesco profilattico di tela srotolato sulla casa di Jesse Helms, mi sono alzato dalla sedia, con le mani pronte ad un applauso.
Il senatore repubblicano che aveva condannato la comunità omosessuale per il suo comportamento indecente, guarda il gigantesco condom senza aprire bocca, con un piccolo barboncino bianco tra le braccia. Questa è solo una delle tante scene che rendono How to survive a plague, del regista David France, uno dei migliori documentari degli ultimi anni. La storia di un movimento, quello per la lotta all'Aids, e di una città: New York. Il racconto inizia dal sesto anno dell'epidemia.
Act Up! nacque nel 1987. Il Greenwich Village divenne il centro per discutere un'efficace azione di protesta che mettesse fine alle violenze e alle discriminazioni, sollevando la questione di fronte agli occhi dell'opinione pubblica. Una delle prime proteste fu indirizzata verso l'ospedale St.Vincent, con l'occupazione della sala d'attesa e il Kiss-In: una dimostrazione pacifica contro le violenze omofobiche che numerosi pazienti malati di Aids avevano subito. Il gruppo di Act Up! iniziò a crescere con la partecipazione di cittadini interessati e volenterosi. Personaggi come Iris Long, esperta di biochimica, aiutarono il gruppo nello studio tecnico della malattia. Nacque così il gruppo interno treatment n'data, specificatamente composto per raccogliere ed elaborare il maggior numero di informazioni sulle cure per il virus. Grazie a questi studi furono creati numerosi report, frutto di indagini approfondite sui trattamenti dei malati e sulle capacità individuali di reagire ai farmaci.
Nonostante all'inizio del 1988 il numero dei morti fosse duplicato rispetto all'anno precedente, la presidenza degli Stati Uniti non dedicò al caso la giusta attenzione. Jesse Helms, senatore repubblicano del Nord Carolina, fece ricadere la causa delle dilaganti infezioni sulla condotta disgustosa e immorale della comunità gay, ignorando completamente la portata e l'urgenza dell'epidemia. Grazie alle proteste sempre più partecipate davanti alla FDA (food and drug administration) e al congresso sull'Aids organizzato a Montreal nel giugno del 1989, il Dipartimento per la Sanità accelerò i tempi per la distribuzione di un farmaco che bloccasse la graduale cecità dei pazienti affetti dalla sindrome. Gli NIH (istituti della sanità nazionale) approvarono la distribuzione dell'AZT, un farmaco antivirale costosissimo e altamente tossico, incapace di mettere un freno all'emergenza. Cure clandestine e importazioni di farmaci dall'estero iniziarono a diffondersi rapidamente.
A peggiorare ulteriormente le cose fu l'atteggiamento della chiesa cattolica e del cardinale di New York John O'Connor, che condannò l'uso del profilattico senza rendersi conto della gravità dell'epidemia. Nonostante le proteste degli stessi NIH e l'occupazione della cattedrale di St.Patrick da parte del movimento, la posizione del clero rimase la stessa. Uno dei momenti di svolta per Act Up! fu l'International Aids Conference di San Francisco del 1990. A prendere la parola di fronte agli scienziati di tutto il mondo, fu Peter Staley, ex broker di Wal Street diventato attivista a tempo pieno. Col suo discorso e con la presentazione del report redatto dal movimento, riuscì ad avere il supporto della comunità scientifica per un'accelerazione dei tempi di ricerca e sperimentazione dei farmaci. L'urgenza di indirizzare gli sforzi verso l'aspetto clinico, creò una spaccatura all'interno di Act Up!.
Peter Staley, assieme ad altri membri, si riunirono in un piccolo gruppo denominato TAG, impegnato a partecipare ai meeting delle case farmaceutiche. All'inizio del 1992 il numero di morti a causa dell' Aids arrivò a superare i tre milioni. La frustrazione per i tagli alla sanità, unita allo sconforto per l'inarrestabile decimazione, culminarono nella manifestazione di Washington denominata Ashes Action.
Il 1993 fu l'anno della salita di Bill Clinton alla presidenza degli Stati Uniti, più volte richiamato dai manifestanti ad assumersi un impegno prioritario per debellare il virus, ma ci vollero ancora tre anni per trovare la terapia che arrestasse la proliferazione del virus.
How to survive a plague non è solo un documento di incredibile valore per la storia dei diritti civili, ma è anche l'occasione per capire la vita di un movimento. Per la costruzione di una struttura collettiva forte ed efficace, è necessario un confronto continuo, quello tra le persone che la compongono e la animano. Bob Ratsky, uno dei membri di Act Up!, durante un'assemblea prende il microfono per ricordare che la certezza di poter contare sull'unità delle persone dev'essere una garanzia basilare per tutti quanti. E questa rete di salvataggio non si sfila nemmeno quando il gruppo del TDA decide di dividersi da Act Up!. L'autocritica diventa uno dei momenti decisivi per riconoscere gli sbagli avvenuti durante il processo di crescita, permettendo di evitare ulteriori passi falsi.
Un documentario fondamentale per tornare a riflettere sull'azione collettiva e su un'epidemia che non si è ancora arrestata. Ogni quattro minuti, nel mondo, una persona muore di Aids.
Alessio MacFlynn
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