"Se puoi essere alto solo quando qualcun altro è in ginocchio, allora hai un problema grave."
Pubblichiamo un estratto dall'intervista di Charlie Rose a Toni Morrison, scrittrice premio Nobel per la letteratura nel 1993. Il video, tradotto e sottotitolato, è del 1998.
Charlie Rose: L'idea di scrivere della razza. O dell'assenza di razza. Bill Moyers, credo, una volta ti ha chiesto: "Pensi di poter scrivere un romanzo che non sia centrato sulla razza?" E tu hai risposto: "Assolutamente."
Toni Morrison: Sì
Lo faresti?
È quello che mi ha chiesto lui. Vedi, io ho risposto alla domanda che non mi ha posto. Ecco... Tolstoj scrive della razza. Sempre. E così Zola, così James Joyce. Ora, se qualcuno si presentasse da un immaginario James Joyce e dicesse: "Tu scrivi della razza, sempre, è centrale nei tuoi romanzi. Quand'è che scriverai di..." che so io. Perché vedi, la persona che fa questa domanda non capisce che è anche... che anche lei o lui viene definito da una categoria razziale. Per questo, chiedermi quando smetterò, o se sono in grado di farlo, vuol dire fare una domanda che, in un certo senso, ha già la sua risposta. Sì, io posso scrivere dei bianchi. I bianchi possono scrivere dei neri. Tutto può succedere nell'arte. Lì non ci sono confini. Doverlo fare, o dover provare che io sia in grado di farlo, è la cosa imbarazzante o offensiva. In questo libro l'ho fatto.
È stato offensivo che le persone - aiutami a capire - che cosa è stato offensivo? L'idea di sentirti come se dovessi provare di essere in grado di scrivere senza...
Sì, la domanda mi è stata posta come se fosse una cosa auspicabile da fare, scrivere dei bianchi o non scrivere della razza - ecco cosa volevano intendere secondo me. E che fosse una cosa difficile da realizzare, un livello più alto di sforzo artistico, o fosse più importante, e del fatto che stessi ancora scrivendo di persone ai margini, e del perché non avessi preferito il mainstream...
Non è che stai prendendo troppo a cuore questa domanda?
Può darsi.
Penso di sì.
Ma quale altra dovrebbe, Charlie? Che cosa significa? Cosa vuol dire quella domanda? Dimmelo tu, se me la sto prendendo troppo.
Non so - ecco - non so se tu - tu - non penso che voglia dire - non ho posto io la domanda, quindi non penso che voglia dire... ma non penso che abbia a che vedere con il fatto di marginalizzare, non scrivendo di...
Può avere senso solo se posso andare da William Styron.. Be', forse non William Styron perché in effetti l'ha fatto... da qualcuno di importante, bianco, e chiedergli, da giornalista:
"Potresti scrivere dei neri?"
Esatto. Posso chiedere questa cosa? È una domanda lecita da fare a Ed Doctorow? Che l'ha fatto, tra l'altro. Ma se io posso dire: "Quando scriverai dei neri?" a uno scrittore bianco, se quella è una domanda legittima da fare a uno scrittore bianco, allora è una domanda legittima anche per me. Non penso lo sia. Capisci, il guanto dev'essere rivoltato. In altre parole, non è una domanda inerente alla letteratura. Non ha niente a che vedere con l'immaginazione letteraria. È una domanda sociologica che non dovrebbe essere fatta a me. Io non potrei chiederlo, a nessuno scrittore. Non potrei chiedere a un altro scrittore nero: "Quando scriverai dei bianchi?" Ora, forse mi sbaglio, puoi dirmelo, adesso o più tardi, se ho gonfiato le cose in modo esagerato. Ma non penso sia così. Non so cosa voglia dire la domanda, tranne quello che ritengo possa significare. Tu pensi che sia una domanda innocua, curiosa, capisci, una piccola domanda casuale. Forse sto reagendo così perché ho letto delle recensioni in passato, che mi accusavano di non scrivere dei bianchi. Ricordo una recensione di Sula, in cui il critico diceva: "Il libro è bello e tutto quanto, però lei," intendendo me, "prima o poi dovrà affrontare le vere responsabilità e maturare, scrivendo del reale elemento di confronto per i neri, ossia i bianchi."
Come se le nostre vite non avessero senso, non avessero spessore, senza lo sguardo dei bianchi. E io ho speso tutta la mia vita da scrittrice cercando di fare in modo che questo sguardo non fosse dominante in nessuno dei miei libri. E le persone che più sono state d'aiuto, per raggiungere questo tipo di linguaggio, sono stati gli scrittori africani. Chinua Achebe. Bessy Head. Quegli scrittori che potevano postulare la centralità della loro razza. Perché erano africani e non dovevano dare nessuna spiegazione ai bianchi. Quelle domande per loro erano incomprensibili. Quelle domande che io avrei se fossi una minoranza che vive in un paese a maggioranza di bianchi, come sono gli Stati Uniti. Ma quando leggo le poesie di Césaire o le poesie di Senghor, o i romanzi, in particolar modo - Il crollo (Things Fall Apart) per me è stato più importante di qualsiasi altra cosa. Semplicemente perché lì c'era un linguaggio, lì c'era un'attitudine. Lì c'erano i parametri. Riesco a farli miei adesso, senza dover essere consumata, o preoccupata, dallo sguardo dei bianchi. Per me è stata una liberazione. Non ha niente a che vedere con chi legge i libri, di qualsiasi persona si tratti, di qualsiasi razza, genere o paese essa sia. Ma la mia indipendenza e la mia autorità, come persona definita razzialmente, dovevano scontrarsi subito con il primissimo libro. Ed è stato strano. Perché, in questo paese, in molti libri, particolarmente in quel periodo tra gli anni '40 e '50, era possibile sentire che il narratore si rivolgeva a qualcuno oltre le mie spalle, che parlava a un'altra persona. Che parlava a un bianco. E lo potevo dire perché stava spiegando delle cose, che non avevano bisogno di essere spiegate, se le avesse dette a me. Era così. Per me è una cosa profonda.
Per questo, potrei... potresti aver ragione, forse sto esagerando tutta la faccenda, che alla fine era abbastanza innocente, perché il problema di essere libero di scrivere nel modo in cui desideri senza questo sguardo definito razzialmente, è un problema serio, per uno scrittore afroamericano.
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