Ancora tu.





Lo chiamo assedio delle coincidenze, con Dylan è ancora così.

Ho già scritto diverse volte parlando della sua musica, sempre con la stessa sensazione di non afferrarlo mai, di non riuscire a rendere, a un ipotetico lettore, quel legame, quella scossa. Ecco, dopo aver letto Bob Dylan - Il fantasma dell'elettricità (add editore) ho sentito che finalmente qualcuno era riuscito a mettere ordine, a creare una simbiosi che superasse la cortina che pare avvolgere ogni dannata conversazione su Dylan: il menestrello, la voce di protesta, il Nobel... Quel qualcuno si chiama Marco Rossari.

Cosa c’è in questo libro? C’è la storia di uno scrittore che fa i conti con anni di narrazioni disparate e disperate, sgomberando il campo e mettendo al centro se stesso servendosi della cronologia dylaniana senza essere sentimentale o accademico. Marco Rossari si racconta attraverso uno spettro, tra le memorie imperfette ricostruisce un’immagine delle proprie emozioni e crea un filo narrativo che lega musica e ricordi. Per chi conosce Dylan è come vedere su carta tutte le rese dei conti passate attraverso anni di ascolto inseguendo la sua figura. Rese dei conti con lui, attraverso di lui, per colpa di lui. Per chi inizia a conoscere Dylan vuol dire venir traghettati nella sua continua trasformazione, nelle canzoni e nelle leggende. Una rivelazione nascosta dentro una storia che davamo per scontata, che ci è passata sotto il naso sotto forma di canzone e che da un certo punto in avanti è diventato altro: un racconto, il nostro.




Marco Rossari nel libro utilizza tre canzoni per fissare questo racconto. Difficile fare una cernita, l'impresa è lampante anche per un ascoltatore di primo pelo. Quello che Rossari fa capire, però, è che questa scelta è resa ancora più ardua data la storia discografica di Dylan. "La discografia di Bob Dylan non esiste." scrive, e ha proprio ragione. Ci sono canzoni registrate di nascosto in club di New York che da sole valgono un disco intero e non hanno mai trovato posto in nessun album. Ma non è solo questo: con le canzoni di Dylan ci si può muovere in tante direzioni, una volta aperto il varco non basta superare la soglia, bisogna estenderla per tutta la lunghezza, aprendo porte in un lunghissimo corridoio per cercare cos’altro può uscirne fuori.

Rossari ne parla in Mississippi, a me è venuta in mente Idiot Wind, canzone di disamore assoluta, di abbandono e sensi di colpa, dove la voce che accusa sembra essere quella di un uomo ferito. Solo col tempo ho iniziato a leggere quel testo come fosse un impasto di litigate stratificate negli anni, parole di lui, parole di lei, dove l'ultima sembra spettare sempre a Dylan e invece l'amarezza cade su entrambi. La prima versione, acustica, una stizza quasi sussurrata. Sono le fasi immediatamente successive a un distacco in cui tutto è sfasciato e i piedi poggiano ancora sui vetri rotti a terra. Poi c'è il live di Hard Rain, carne e sangue, la fine di un tour che i critici stroncano, eppure la musica viene fuori scintillante e le parole tagliano l'aria a fettine. La terza è tempo sospeso e rancore. La band lascia spazio tra una strofa e l’altra, quasi come fosse al rallentatore, stanca, e invece poco dopo si capisce che il ritmo è solenne, mentre la voce monta a livelli di pura ruvidezza, fa impressione in certi punti, nessuno si sognerebbe di scavarsi nelle corde vocali a quel modo per paura di non riavere mai indietro quella voce, e così accadrà, Dylan non canterà mai più così, come era successo prima e come sarebbe accaduto nuovamente poi. Una dannazione che si porta dietro la sua unicità. Anche questo è Dylan, ed è proprio grazie alla tridimensionalità che questo libro restituisce al soggetto che gli indizi disseminati lungo le pagine diventano nuove strade per scoprirne la forza.

Su Bob Dylan ci saranno sempre delle cose da dire e da sviscerare. Rossari l'ha fatto con grande sincerità, le sue parole hanno lo stesso peso di quelle che finiscono, dopo estenuanti tentativi, dentro una lettera a cuore aperto: dentro non c'è mai tutto, il resto viene lasciato a chi legge. E chi legge non potrà che devolvere al suo autore un senso di gratitudine per averlo fatto, per la sensazione che lega un ricordo che sfugge e resiste all'inevitabile.

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Bonus Track

Sean Penn legge un estratto di CHRONICLES 1, l'autobiografia di Bob Dylan. Ho scelto lo spezzone di  The Man in the Long Black Coat perché racchiude alcuni passaggi molto interessanti sul rapporto tra il passato e il presente dell'evoluzione di Dylan (e anche perché Oh Mercy è un disco meraviglioso).





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