L'altra faccia della mela: Steve Jobs e il nostro bisogno di icone.

Steve Jobs si è spento ieri, a 56 anni, consumato dal cancro. Chiunque abbia avuto la drammatica esperienza di assistere alla devastante morsa di questa malattia, non può non esprimere il suo cordoglio e la sua comprensione. Il cancro svuota le persone da dentro, rimuove le forze e spezza la dignità della vita. E difficilmente si sconfigge. Torna, si nasconde per brevi o lunghi periodi, ma il più delle volte sembra letteralmente accanirsi contro le persone. Così è successo a Steve Jobs, così succede quotidianamente in tutto il mondo. L'annuncio che segnava l'abbandono definitvo dall'azienda, ha lasciato intuire che le cose stessero inevitabilmente precipitando. Molte persone sono rimaste sbalordite, come se la grandezza di questo personaggio fosse al riparo dai mortali accadimenti. Non è stato così, e non ci resta che guardare avanti. Mettendo da parte questo argomento doloroso, mi sembra importante analizzare gli effetti di questo evento. Facciamo un passo indietro.

Steve Jobs è riuscito ad imporre una visione innovativa all'interno delle aziende dove ha lavorato. Rischiando contro tutto e tutti, cadendo e rialzandosi, ha portato a compimento l'ideale percorso del sogno americano. Affermarsi, diventare qualcuno, lasciare il segno contando sulle proprie forze e sulle proprie idee. Certo, non era da solo. La dimensione progettuale e la costruzione di tecnologie informatiche non possono prescindere da un lavoro collettivo, anche se, mediaticamente, si lascia che i riflettori vengano puntati tutti sul Leader, a beneficio delle telecamere e dei nostri occhi. E' stato così anche per Bill Gates, altrettanto per Mark Zuckerberg. Ma dove finisce il Leader, il dirigente illuminato, e inizia l'icona?

Il discorso tenuto da Jobs a Stanford, ha assunto, nella storia di questo XXI secolo, una risonanza simile a quella di Martin Luther King a Washington nel 1963. "Stay hungry, stay foolish." sembra una frase fatta apposta per rimpiazzare l'ormai stantio "I have a dream." Girovagando per i blog e leggendo i commenti di moltissimi utenti, c'è una vera dimostrazione di devozione e gratitudine verso il lavoro di quest'uomo. L'omaggio appassionato è motivato nelle maniere più disparate, ma tutte sottendono un senso di infinita riconoscenza per una specie di liberazione, materialmente incarnata dai prodotti della Apple: iPod, MacBook, iPhone e via discorrendo. Le opportunità sono diventate illimitate: finalmente ognuno ha potuto scatenare la propria fantasia attraverso l'utilizzo di strumenti che sembrano avere sempre un passo in più sui tempi. Sulla carta sembra la storia di un ribelle. In dettagli apparentemente piccoli, però, c'è molto altro da analizzare.  La prima epifania è a portata di chiunque sia in possesso di un prodotto della Apple. Infatti scoprirà, o saprà già, non senza un pizzico di perplessità, che il suo ottimo apparecchio è "Made In China". Sembra un dato scontato, ma non lo è, poiché l'alone magico del marchio tende a impedire che l'occhio si posi dietro le quinte della grande fabbrica di sogni. E cosa ci troverebbe una persona incuriosita da questa indagine? Troverebbe operai, catene di montaggio, lingue sconosciute e molta ingiustizia. Potrebbe incappare nella notizia recente di decine di operai cinesi che si suicidano periodicamente, buttandosi dalle finestre degli stabilimenti Foxconn , ossia la più grande multinazionale produttrice di componenti elettronici (la Foxconn, con sede dirigenziale a Taiwan, conta quasi un milione di impiegati). Da qui si potrebbe cominciare a cambiare ottica, guardando in modo diverso il proprio sottilissimo gioiello tecnologico. L'idea c'è, la creatività pure, ma il lavoro poi chi lo svolge? Apple è una multinazionale "migliore" di altre? La risposta non può dirsi affermativa. Lo sfruttamento, l'assenza di una salvaguardia delle politiche e dei diritti di lavoro in un'azienda che ha deciso di esternalizzare dove la manodopera resta la più economica al mondo, non suona come una rivoluzione, non è facile leggerci tra le righe "Think Different". Ma, come si dice, lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Quello che poi resta nelle nostre mani è il prodotto, è il fascino del marchio e l'idea di poter esser parte anche noi di questo futuro galoppante. Non sono i singoli pezzi ad essere rilevanti, non ci chiediamo in quali mani siano passati prima di arrivare a noi.

Nonostante questo quadro, triste e puntualmente ignorato, la figura di Steve Jobs ha raggiunto livelli di notorietà incredibili. Sempre pronto a mettere la sua faccia per rappresentare l'azienda, è velocemente diventato un simbolo planetario. E, pensandoci bene, era inevitabile che accadesse. In questo scorcio di XXI secolo sembra non esserci posto per icone rivoluzionarie, sia in campo culturale, sia in quello creativo. Ci ritroviamo con Lady Gaga e Justin Bieber, e la nostra speranza di cambiamento sta affondando assieme alla popolarità di uno spaesato Obama. Nonostante gli sforzi incredibili delle persone comuni che cercano di restare a galla in tutti i modi, il nostro sguardo è sempre attento nello scorgere qualcuno che si levi più in alto, senza badare se lo faccia solo con le proprie gambe o usi un predellino per farlo.

Steve Jobs è il personaggio che rimarrà. Ci saranno film, documentari, libri, poster, magliette, spillette e prevedibilmente i prodotti Apple vivranno una fase di sprint produttivo eccezionale. Questa morte prematura lo consegnerà alla storia, in uno dei periodi di più diffuso malessere sociale, e lasceremo che sia la sua figura a riempire il vuoto di questi anni, affidando a scorci del suo pensiero la nostra "way of life." A dimostrazione di quanto sia forte il nostro bisogno di simboli e di sicurezze che alcune personalità sembrano emanare magicamente. Tutto questo ricopre con un velo le drammatiche conseguenze che sono parte di ogni impero multinazionale. Non possiamo vedere i volti di ragazzi che sognano di possedere una fetta del nostro incanto consumistico, e che magari sperano,un giorno, di ritrovarsi in una lunga fila fuori da un Apple Store, in attesa che si schiudano le porte di un paradiso tanto effimero da essere assolutamente indispensabile.

Perdonaci Steve, ma forse pensare davvero in modo diverso non è la strada migliore per fare tanti soldi.


Alessio MacFlynn 



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1 commenti:

Guido ha detto...

C'è poco da commentare, e molto da congratularmi!

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