Prassi religiose: la morte della spiritualità.


Tema fastidioso quello che sto per affrontare. Talmente ostico che, in altre epoche, mi avrebbe garantito scomunica, quando non atroci pene espiatorie.
Prima che mi si muova questa obiezione, tengo a dire che lo spirito che mi porta a fare le successive considerazioni è puramente laico, intendendo con questo termine, nella magistrale definizione di Odifreddi, un'impostazione mentale che si discosta da quella religiosa, ma che non si prodiga affinché quest'ultima non esista, e che l'intento è semplicemente l'analisi di prassi sociali e religiose il cui significato, a mio avviso, è differente da quello che chi le compie si propone.
Premettendo che la questione della laicità e del suo fraintendimento con movimenti di avversione all'esistenza della chiesa, tipici, ad esempio, della Rivoluzione Francese, ma, fortunatamente, non presenti nella nostra società odierna, verrà probabilmente trattata in un futuro Post, devo necessariamente, ai fini dell' argomentazione, raccontare l'antefatto da cui questa prende le mosse.
La tradizione vuole che in questi giorni ricorra una celebrazione religiosa, comunemente chiamata "i Sepolcri", che ricorda i giorni di permanenza di Cristo nella tomba prima della resurrezione.
A molti sarà capitato di prendervi parte.
La personale disaffezione per tale celebrazione nasce già dalla consapevolezza che, per essere dei buoni credenti, ci sia necessità di recarsi presso TRE sepolcri. Non uno. Non due...ma tre!
Si potrebbe giustificare tale regola con l'essenza "una e trina" di Dio, ma il discorso non cambia.
Dico io: ma sono l'unico che si stupisce di quanta poca spiritualità ci sia in prassi religiose di questo tipo?
Perché mai, lasciando alle successive righe la questione delle icone, dovrebbe fare differenza per Dio l'un Sepolcro o l'altro?
Incoerenze del genere si possono riscontrare in molte altre peculiarità religiose (mi riferisco alla religione cattolica, perché non ho buona conoscenza delle altre). Una su tutte: la letteratura penitenziale.
Sapete tutti, infatti, grazie alle conoscenze acquisite con il catechismo, che ad ogni peccato equivale una certa penitenza, e che questa penitenza, generalmente, differisce solo nel numero di volte in cui determinate formule vanno ripetute. Tali penitenze sono codificate nei libri penitenziali.
Allora: se hai bestemmiato dì 10 Ave Maria e 5 Padre Nostro; se hai commesso atti impuri dì 5 Atti di Dolore e 5 Ave Maria; e via discorrendo.
Anche in questo caso mi chiedo: che grossa differenza potrà mai fare per Lui che, dall' alto della sua onnipotenza, sa prima e meglio di noi se il nostro pentimento è sincero, ricevere in dono qualche preghiera in più?
Quello che mi lascia perplesso, dunque, è il tentativo di comprendere cosa renda grazie a Dio.
E tale tentativo, peraltro, nasconde in sé il peggiore dei peccati: la superbia.
Proprio la superbia, intesa nell'accezione di credersi pari a Dio, infatti, è il motivo per cui Lucifero, definito da Dante "'l primo superbo", è stato scacciato dal regno dei cieli.
E quando si è sicuri di cosa renda grazie a Dio, si da per assunto che si riesca a comprenderlo.
E se si crede di riuscire a comprenderlo, ossia, ad avvolgerlo nel proprio pensiero, si finisce per considerarlo un proprio pari.
Un pessimo esempio di antropomorfismo religioso. Eresia!!!
Tutto questo è specchio della necessità di rendere la religione pane per molti, e far credere a questi molti che, per raggiungere la salvezza, sia sufficiente adempiere a dei semplici uffici.
Io non sono un credente. Non credo perché fede e ragione sono su due piani paralleli. E il raggiungimento della padronanza dell'una comporta l'impossibilità dell'affidamento all'altra.
Sono un moderno San Tommaso.
Mi rendo conto che, da una prospettiva religiosa, io mi stia macchiando della stessa superbia che tanto sto stigmatizzando. In effetti, se si crede di aver capito che una determinata concezione di un qualcosa sia errata, significa credere di sapere quale sia la concezione giusta.
In questo do ragione a chi mi stesse sollevando quest'obiezione.
Tuttavia, però, c'è da dire che, non professandomi credente, a differenza di coloro che si considerano dei buoni religiosi, ma che, a mio avviso, come argomentato in precedenza, sono lontani dall' esserlo, sono esente da critiche le cui basi di giudizio siano quelle religiose, che non condivido.
Ma, come premesso, tutto questo discorso sottintende la mia piena accettazione di coloro che intendano ugualmente affidarsi ciecamente alla fede.
E mi rendo anche conto di quanto queste persone, in determinati frangenti, siano fortunate.
Passiamo ora ad un'altra questione: l' iconografia religiosa.
La storia ci racconta di come l' iconoclastia (dal Greco eikòn=immagine e klào=spezzo) sia una corrente di pensiero religioso osteggiata dalla chiesa cattolica.
L'iconoclastia è un filone di pensiero all'interno del dibattito religioso che non ammette la rappresentazione iconografica del divino.
Sono di questo avviso religioni come Islam, Cristianesimo protestante ed Ebraismo.
La loro preoccupazione era che l'adorazione dell' immagine potesse sfociare in idolatria, ossia, in una pratica religiosa in cui l' immagine non è più una raffigurazione un archetipo, ossia, di un "concetto" (scusate il termine ma non me ne veniva uno migliore), ma diventa l'archetipo stesso.
In poche parole: che si finisse per avere devozione più per l'immagine del divino, che per il divino.
Per quello che riguarda Cristo, si ritiene che la possibilità di una sua rappresentazione venga dal suo essere l'incarnazione umana di Dio. Ma il discorso è un altro.
Anche Maometto era un uomo, ma l'Islam sostiene che la sua grandezza non possa essere rappresentata in un' immagine senza svilirla.
Mi viene da pensare che il fraintendimento generale della pratica religiosa sia infine approdato ad una sorta di idolatria.
Faccio un esempio su tutti: San Pio da Pietralcina.
La grande pressione dei fedeli affinché il suo corpo venisse riesumato, evidenzia, oltre che un certo gusto dell' orrido, la prova di quanto detto.
Se ci si convince che, per una corretta devozione a San Pio, ci sia bisogno di vedere il suo corpo, si finisce immancabilmente per credere che l'oggetto di devozione sia il corpo stesso, e non l'esempio dato da questo in vita, attraverso il quale avvicinarsi a Dio.
Sono ahimè convinto che molte menti acute all'interno della struttura ecclesiastica ben comprendano il mio ragionamento, e bene sappiano quanto un avvicinamento alla spiritualità, che renderebbe la religione una cosa molto più "seria", allontanerebbe ancor più i fedeli dalle chiese.

Massimo McMutton


3 commenti:

Anonimo ha detto...

Si chiama "Altare della Reposizione" non "Sepolcro"....
Tutto il resto dal nome sepolcro fino al fatto di vederne tre, cinque, sette, è stupida superstizione religiosa che c'è in tutte le religioni...
L'altare della reposizione non è dunque un sepolcro che simboleggia la morte di Gesù, ma un luogo in cui adorare l'Eucaristia.
E' straniante vedere come un italiano non conosca la propria cultura religiosa (che è diverso dalla fede religiosa).
I santi vanno venerati non adorati, come anche la Madonna. Giustamente solo Dio può essere adorato. Le immagini servono da congiunzione spirituale, come siamo abituati dalla cultura greca e romana, rappresentano ma non sono Dio.
Gabriele

FSRBSA McMutton (Haggis) ha detto...

Gabriele. Mi scuso se non conosco a dovere la mia cultura religiosa. E' vero.
Purtroppo non hanno fatto molto perché si creasse affezione in me. Anzi, diciamo che molto spesso hanno remato contro...E NON PER COLPA MIA!!!
E poi, la tua critica, per quanto ben architettata, è mal focalizzata.
Mi pare di aver sostenuto esattamente la tua stessa tesi.
Entrambi sosteniamo che il "praticante medio" abbia ridotto il tutto ad una serie di riti superstiziosi che privano ogni simbolo religioso della sua dose di spiritualità.
Così come per le immagini. Mi pare proprio di aver detto che le immagini NON SONO l'archetipo, ma sono una sua raffigurazione utile ad avvicinarsi a Esso...niente più di quanto da te sostenuto.
Il problema, anche in questo caso, è travisamento della funzione delle immagini.
Quello che critico, è la convinzione di molti che non si possa avere rapporto con Dio se non attraverso le immagini (credo che per rendere omaggio all'esempio di Cristo non debba avere necessariamente davanti un crocifisso).
Convinzione che porta gli stessi molti a credere che Dio ci sia solo attraverso le immagini, o peggio, solo nelle immagini.
Io so benissimo che Dio, nella religione cristiana, è onnipresente, e che posso adorarlo in ogni gesto quotidiano.
Tuttavia, è la chiesa che non mi considera un buon cattolico se non vado in chiesa la domenica.
Diciamo, in soldoni, che il problema non è il nucleo...è la sovrastruttura.

Anonimo ha detto...

Sono da sempre convinto che il fondamento delle religioni (in questo caso, del Cristianesimo) sia l’abbandono totale dell’uomo a un “Qualcosa” di

Superstizioa-mente super "Magico", per trovare spiegazione e consolazione surreale alla realtà terrena, e credo perciò che l’unico modo per crederci sia

l’avere SOLO fede e nient’altro: ed é per questo preciso motivo che si può non condividere ciò che l’uomo religioso attribuisce con PRESUNZIONE al “suo” Dio,

il modo in cui simbolicamente lo rappresenta: il fatto che esistano più divinità invece che una sola ...!

Che poi la "Verità" appartenga soltanto al Cristinesimo e che si possa "provare" tramite la Fede é di per "se" una grandiosa Balla Idiota ... C’è secondo me,

solo una prova della verità del Cristianesimo ed é giustamente, scusatemi, quella patologica: Cioé, quando l’angoscia del peccato e la coscienza affannata

tormentano un uomo fino a costringerlo a oltrepassare la linea sottile tra la disperazione che conduce alla pazzia ... proprio lì, guarda "Caso" ... arriva

il Cristianesimo ... Qui sta il Cristianesimo, tale e quale come se fosse Cocaina purissima mai ancora tagliata.

Ma La fede è, a tutti gli effetti fisiologici e patologici dello stress, un atto umano (che non è l'aderire semplicemente ad una religione), è cioé compiere una scelta profonda-Mente personale.
La fede, come Atto Patologico, permette all’uomo di elevarsi (a Torto) dallo stato etico a quello religioso e grazie a questo che egli può accettare

l'assurdo ordine divino del "libro sacro".

La fede non è Dio, PRESUPPONE soltanto una conoscenza di Dio ... è la scelta di affidarsi Completa-mente ad esso, essa è la totale rinuncia della ragione.

La fede inizia laddove la ragione finisce.

E poi scusate, parlare della fede non significa parlare di Dio.

La fede è un atto umano, umanissimo, che SUPPONE (Concetto) una determinata comprensione di Dio, delle immagini del Dio a cui ci si affida.

Dio, da come SUPPOSTO, non è MAI circoscrivibile dai nostri concetti di fede, quella fede che viene accolta come "Rassicurazione" o che venga vissuta come

riserva di certezze, fino al punto da esser declinata come arroganza, pretesa, e perfino come idiota violenza Bigotta.

Questo DIO CONCEPITO dalla mente Cristiana è esatta-Mente l'incarnazione delle caratteristiche positive dell’uomo, tanto ché, parlare di DIO è come parlare di noi stessi, ma più come ad un bisogno sociale che individuale.

Non cié nulla da dire e fare: il mistero della religione è l’antropologia.

L'antropologia delle religioni è quella parte dell'antropologia che si occupa dei sistemi religiosi, cioé della sua "Prassi".
E la fede credetemi e solo una delle sue prassi fondamentali.

Pasquino

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