La mattina del 2 aprile 1985, Barbara Rizzo è in macchina. Sta accompagnando i suoi figli Salvatore e Giuseppe a scuola,guidando sulla statale litoranea che attraversa Pizzolungo,provincia di Trapani. Margherita,l'altra figlia, è già a scuola,accompagnata da una vicina di casa. Una mattina come le altre. E invece no. L'auto di Barbara Rizzo viene superata da una Fiat Ritmo,che in quel momento sta trasportando il giudice Carlo Palermo. Proprio in quel momento,un'autobomba parcheggiata vicino ad un muretto esplode. Quell'autobomba è destinata alla macchina del giudice,trasferito a Trapani da soli 50 giorni. Il trasferimento lo aveva chiesto proprio lui, dopo le indagini condotte a Trento sul traffico di droga e soprattutto sul traffico d'armi,che vedeva coinvolti anche esponenti del PSI. Chi fece esplodere l'autobomba era forse convinto che nell'attentato sarebbe morto anche lui,in un gelido pensiero di morte. Carlo Palermo fu sbalzato via dalla macchina,ma rimase illeso. La sua scorta venne ferita,ma riuscì a farcela. Barbara Rizzo,Giuseppe e Salvatore,invece,morirono atrocemente. Sventrati,disintegrati dai venti chili di esplosivo dell'autobomba,che dilaniò i corpi facendoli a pezzi e spargendoli nel raggio di centinaia di metri. "Mio fratello,una macchia sul muro..." Queste sono le parole di Margherita,la figlia che ha perso così crudelmente la madre e i fratelli,e che ha visto mancare il padre solo 8 anni dopo la strage. Margherita,11 anni,all'epoca dei fatti. Per questa strage sono stati condannati nel 2004 Totò Riina,Balduccio Di Maggio e Vincenzo Virga come mandanti. Ma degli esecutori materiali non si conosce l'identità. Un altro omicidio senza volto. Secondo le ultime stime le vittime di Cosa Nostra sono quasi 5000. E questo numero diventa spaventosamente grande quando si cerca di pensare che per ogni vittima,c'è una famiglia distrutta. Genitori,fratelli,amici. Tutti con un buco dentro,per una morte che spesso sparisce in quel vortice nero che la malavita organizzata ha creato nel nostro paese e dove nasconde mandanti,esecutori e capi.
Ma questo è il racconto di una speranza. E' il racconto di chi ha guardato in faccia l'orrore,andando avanti. Margherita quando parla di quel giorno dice: "Datemi i pennelli e mi metto a dipingerla precisa a come ce l’ho in testa." Non si perde in quello sforzo che il dolore a volte innesca, per mettere da parte e dimenticare. Lei non può dimenticare e non può permettersi che il suo paese dimentichi. Nel 1992 inizia la sua ricerca per la verità,segnata da tanti momenti di scoraggiamento e da quella sensazione di vuoto attorno,che rischia di distruggere chi subisce un'ingiustizia così grande. E' riuscita anche a trovare un confronto e a chiudere un pò della sua ferita,incontrando proprio il giudice Palermo nel 2006. Un incontro difficile,che però ha sicuramente sanato alcuni dolori che si trascinavano da troppi anni. Un altro incontro fondamentale è stato quello con "Libera", e proprio grazie all'associazione di Don Ciotti ha potuto sfogare la necessità di imprimere questo ricordo nella memoria e nel cuore di chi la ascolta. Testimoniare. Soprattutto nelle scuole,dove la lotta alla mafia deve essere insegnata, proprio per combattere l'atteggiamento-mafia,il pensiero-mafia,forse una delle radici più difficili da sradicare. E questo cammino tortuoso di riscatto e tenacia,proprio in questi giorni,sta per essere sigillato da un momento straordinario per Margherita. Margherita infatti si sposa con un ragazzo di Parma. E a celebrare le nozze sarà proprio Don Ciotti,che la accompagnerà all'altare,in una giornata,questa sì,che celebra la rinascita e la speranza. Non ci saranno televisioni,ospiti eccellenti e parate d'ordinanza. E infatti non auguriamo a Margherita tutto questo,ma solo un grande abbraccio per la nascita di una bella famiglia,e la promessa di non dimenticare.
Alessio MacFlynn
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1 commenti:
amaro amarissimo... complimenti.
Betta
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