Dylan,la tempesta e un treno per piangere.

C'è poco da fare. O non ti colpisce,oppure ti tortura l'anima. Dylan l'ho scoperto in momenti diversi. "Hurricane" era una delle prime canzoni che avevo imparato a suonare con la chitarra, ma non era certo di facile riproduzione. Il testo era lungo quanto un racconto e non si riusciva a ricordare tutto. Poi l'ho messo da parte, sfiorando casualmente i suoi classici con la stessa perplessità con cui si guarda la "Gioconda". L'hai vista ovunque,sin da quando eri piccolissimo,e appena te la ritrovi davanti,assediata dai turisti, non ti suscita granché. E così era lo stesso con le canzoni di Dylan. Ascoltate e sparpagliate nella vita delle persone senza nessun filo che le legasse davvero a loro. Poi succede qualcosa, o almeno a me è successo. Durante un viaggio in Scozia,un ragazzone olandese di nome Laurens ha condiviso la sua vita con la mia,e il tutto è stato fuso da un CD di Dylan che portava in una custodia piena di grandi classici. Devo dire la verità,sembrava di non aver mai ascoltato "Like a Rolling Stone". Niente di niente. Come se in quel preciso momento fossi pronto,e quella musica necessaria per i mesi a venire. Era febbraio. Faceva un freddo boia.

Poi è arrivata la primavera. Le canzoni continuavano a venirmi addosso,senza che avessi il tempo di assorbirle. Eppure non riuscivo a farne a meno. C'è chi ha la fortuna di capire le canzoni al primo ascolto,cogliendo tutte le sfumature del testo e apprezzando la scelta delle parole. Io con l'inglese me la cavo abbastanza bene,ma con i testi di Dylan bisogna scordarsi la solita logica verbale. E ripensandoci, quello che più mi catturava erano piccoli passaggi,piccole frasi o anche solo i titoli. La poesia non dovrebbe essere tradotta oppure spiegata, e così tenevo per me quei ritagli di note e parole,sovrapponendo la mia vita ad essi. I treni, ci si sono messi anche loro. I notturni che tagliavano la notte costeggiando l'Adriatico,a volte vuoti,a volte stracolmi di persone addormentate sul tuo posto. Ho comprato diverse armoniche a bocca,convinto che fosse indispensabile averne sempre una da portarsi dietro. Come in quel folk primordiale,suonato con niente,così anche io avrei preferito immergermi in un passato di frontiere e sconosciuti che dividono il pane. E quando è arrivato il temporale,mi sono rimesso in viaggio. Stavolta era l'India. Senza neanche una guida seria per girarla,ma con un'armonica in tasca. Sui treni che la fantasia o i reportage non sanno descrivere completamente. E come se mi fossi messo nelle mani dell'incertezza,non ho mai avuto la sensazione di essere solo. Così,mentre me ne stavo su un autobus sgangherato a guardare la luna nascosta da brandelli di nuvole,un ragazzo di nome Praveer mi fa ascoltare la musica del suo lettore mp3. E io gli chiedo solo una canzone. Una canzone di Dylan. Asciuga le ossa dall'umido dei monsoni e lo stomaco si riempie del calore del cibo condiviso e mangiato con le mani,eternando questo istante in poche strofe.

Questo è Bob Dylan, per me. Potrei raccontare del menestrello,della voce di una generazione,delle sue canzoni di protesta. Ma direi solo cazzate. Tutto quello che vale è quello che ti si attacca addosso.
Una volta e per sempre. Auguri Bob!

Alessio MacFlynn



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