Designare un inferno non significa, ovviamente, dirci come liberare la gente da quell'inferno, come moderarne le fiamme. E tuttavia, sembra di per sé utile ampliare le nostre conoscenze e prendere atto di quanta sofferenza causata dalla malvagità umana esiste nel mondo che condividiamo con gli altri. Chi continua a essere sorpreso dall'esistenza della perversità, chi è disilluso (o addirittura incredulo) di fronte alle prove delle crudeltà raccapriccianti che a mani nude gli uomini sono capaci di commettere ai danni di altri essere umani non ha raggiunto la maturità morale o psicologica.
(Susan Sontag - Davanti al dolore degli altri)
Si chiama disturbo post traumatico da stress, PTSD è la sigla internazionale. E' una sindrome molto particolare, dovuta a forti shock legati ad eventi particolarmente traumatici. I sintomi sono caratterizzati da fasi diverse e ciò che rende difficile la diagnosi è il periodo di latenza che può trascorrere tra l'evento e il manifestarsi di questo disagio. Possono riguardare eventi catastrofici come violenti terremoti oppure episodi di stupro e di violenza. Sotto questa categoria, inoltre, si possono classificare anche gli Shell Shock, ossia le reazioni dovute allo stress da combattimento. Tradizionalmente i soldati colpiti da questi disturbi venivano chiamati "scemi di guerra". Il documentario omonimo del 2008, prodotto da Vivo Film e diretto da Enrico Verra, ha raccontato questo disagio nel contesto della Prima Guerra Mondiale. Tra le più svariate testimonianze ereditate dal conflitto, c'è quella dei filmati scientifici, preziosissimi nello svelare una tragedia dimenticata dalla storia. Uomini in preda ad incontrollabili convulsioni, che a stento riescono a camminare, impauriti dai rumori, terrorizzati da un'uniforme, che cercano riparo sotto al letto al semplice suono della parola "bomba". La scienza medica dell'epoca non ha saputo curarli, rinchiudendoli nei manicomi e cercando di zittire i fantasmi della loro mente con l'elettroshock.
Sono passati quasi cento anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Eppure lo studio di questi casi non ha ancora trovato lo spazio adeguato per essere affrontato.
Negli Stati Uniti ci sono storie diversi e spesso discordanti. C'è quella immortalata dai baci per le strade di New York, avvolta da coriandoli e dai saluti dei militari tornati a casa, e c'è quella di migliaia di soldati che non hanno visto nessuna gloria e nessun eroismo nella loro impresa. Il conflitto del Vietnam ha registrato un numero spaventoso di suicidi tra i reduci di guerra, che si avvicinerebbe, o addirittura supererebbe, il numero dei morti al fronte. Il disagio del ritorno in patria ha portato moltissimi ex combattenti a vagabondare per le strade d'America, spesso deturpati dalle ferite e dalle amputazioni: si aggira intorno al 15 per cento il numero di veterani senzatetto. Questo si accompagna all'enorme difficoltà che hanno i reduci di inserirsi nel mondo del lavoro, con tre punti in percentuale in più rispetto alla media nazionale: 12 per cento. (fonte: Financial Times) Se il silenzio dell'autorità statunitense sembra essere una abitudine consolidata quando si tratta di contare i morti tra i propri soldati, così accade anche per i veterani. Recentemente l'amministrazione Obama è venuta incontro a questo problema, grazie all'emissione di crediti d'imposta per le aziende che assumono un reduce disoccupato. Ma permane una sorta di diffidenza che ostacola una vera integrazione degli ex militari ad una vita normale. Il documentario "Street Vets" diretto da Issac Goeckeritz segue la storia di alcuni di loro.
In Italia la situazione è avvolta da una silenziosa nebbia. Nonostante nel resto d'Europa i contingenti inviati in scenari di guerra abbiano registrato percentuali che oscillano tra il 3 e il 5 per cento di casi di PTSD, nel nostro paese le segnalazioni si limitano a poche decine di casi denunciati alle autorità militari. Lo studio, così ridotto e poco esaustivo, non sembra lambire alcun interesse istituzionale nell'approfondire e monitorare questi dati. All'origine dell' anomalìa c'è la volontà di non portare sotto i riflettori il trauma della guerra, così distante dall'appellativo con cui viene venduta: Missione di Pace. Oltre a questo, esiste la paura dei militari di essere esclusi dal proseguimento della loro carriera, con il rischio di non poter entrare a far parte di un corpo di difesa in patria. Una doppia omertà, che però non sfugge alla quotidianità di chi condivide questo dramma. Le famiglie sono la prima realtà dove si manifestano questi cambiamenti. Chi ha vissuto l'esperienza in maniera diretta, assiste ad episodi di violenza improvvisa, disturbi del sonno e dell'appetito, totale chiusura e isolamento della persona. Negli occhi, il vuoto. C'è qualcosa che non si può raccontare, impossibile da definire, che scava i nervi di chi guarda in faccia l'orrore, dimostrando, fatalmente, che non si può essere pronti all'atrocità. Chi prega per il ritorno, non immagina che possa trovarsi davanti ad una persona diversa.
(ulteriore materiale lo potete trovare in questa inchiesta di Repubblica. E per chi non l'avesse ancora visto, questo è il link al film "Il Cacciatore" di Michael Cimino in versione completa e in italiano su Youtube. )
Alessio MacFlynn
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