L'immaginazione intontita dalla velocità.


Ci sono più di cento anni a separare "Camminare" da "Elogio della bicicletta", eppure in moltissimi hanno visto nel pensiero di Ivan Illich l'evoluzione naturale della filosofia di Thoureau. Accostando i due saggi è facile capire il perché. Henry David Thoureau, padre della disobbedienza civile, comincia la sua riflessione staccando l'essere umano dal ruolo assegnato dalla società. L'arte del camminare non può prescindere da un ritorno nella natura, tappa obbligatoria per potersi svestire di un abito e ridefinire un'essenza perduta: la libertà. Bisogna trovarsi pronti a lasciare tutto, a iniziare un nuovo cammino. Thoureau si stupisce (siamo nel 1862) che gli uomini e le donne riescano a sopportare il confinamento tra le mura domestiche. L'esercizio che si compie nel cammino è molto più di un semplice allenamento fisico, la presenza del proprio spirito è fondamentale. Idealmente si ritorna a se stessi, e non è possibile farlo se nella propria mente abbondano i pensieri della quotidianità, gli impegni, gli obblighi, il lavoro. Con questo nuovo approccio ci si sorprenderà a mettere di nuovo al proprio posto tutte quelle cose che sembrano essenziali. Un palo che un contadino pianta nel terreno, per delimitare il proprio campo e evitare che un estraneo lo attraversi, sembra quasi offendere gli angeli che volteggiano nel cielo, ma che lui non riesce a vedere. "Le nostre spedizioni non sono altro che gite, e ci ritroviamo, la sera, accanto al vecchio focolare da dove siamo partiti. Per metà del cammino non facciamo che ritornare sui nostri passi."



La lettura di Ivan Illich suggerisce l'ironica distinzione tra viaggio e spostamento, due diversi modi di intendere il movimento di cui solo uno prevede l'uso di uno spazzolino da denti. Lo spostamento, inteso statisticamente, è quella porzione di tempo che ogni giorno viene consumato nel giro dell'oca che porta i cittadini dalla propria abitazione al luogo di lavoro. Nel saggio dello studioso austriaco viene analizzato minuziosamente ogni aspetto che il mito della velocità ha imposto nella società moderna. Tra illusioni e false prospettive, il consumo di energia genera un dislivello nella crescita sociale, un nuovo paradigma di differenza di classe. L' élite accumula migliaia di chilometri in viaggi dove ogni minima premura è al servizio della loro permanenza, mentre la maggioranza delle persone vive la contraddizione che il sistema esprime quotidianamente nelle lunghissime code del traffico cittadino. La spersonalizzazione passa attraverso una inversione di valori dove i cittadini  non vogliono essere più liberi, ma meglio serviti. "Il passeggero vuole un prodotto migliore, non vuole liberarsi dall'asservimento dei prodotti." La naturale libertà di movimento sembra essere legata da cinture di sicurezza ideologiche e il mezzo per liberarsi di una parte di esse è proprio la bicicletta.
"Per portare quarantamila persone al di là di un ponte in un'ora occorrono dodici corsie se si ricorre alle automobili e solo due se le quarantamila persone vanno pedalando in bicicletta." A chi contesta una distanza siderale di questi due pensatori dalla nostra attualità, alcuni dati possono venirci in aiuto: secondo l'ACI ammonterebbe attorno al 40-50% il tempo trascorso in code inutili in auto. A Roma le ore sprecate ogni anno in auto sono 252, a Milano 237, a Torino 180.
Ogni due anni l'aumento di questo spreco è di circa cinque minuti.

Alessio MacFlynn







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