Giovanni Chiaramonte, Ponte sulla Via Emilia |
Io e il ragazzo che fa il libraio siamo amici, ma lui non lo sa. Vado spesso a comprare i libri da lui, eppure ogni volta sembra che non mi riconosca. Vedo che sui suoi occhi cala una specie di patina biancastra quando lo saluto. Però è come se fosse un amico, almeno, da quando mi ha consigliato un libro. Non gli ho dato indicazioni specifiche, gli ho detto: "Fai tu." Come quando uno, passando davanti alla vetrina del barbiere, torna indietro, spinge la porta, vede che non c'è nessuno e sa già che quando gli verrà chiesto, risponderà: "Fai tu." C'è il brivido del rischio, ogni tanto si riscopre anche in queste cose qua. Non vado spesso dal barbiere, ma quando deciderò di farlo so già cosa gli dirò. Dicevo, il mio amico che fa il libraio, di cui non conosco il nome e lui non sa il mio, una volta l'ho sentito litigare silenziosamente nel negozio. Era prima che iniziasse la nostra amicizia non dichiarata e, vedendo come se la prendeva a cuore per una questione che mi sembrava legittima, ho capito che era la persona giusta a cui chiedere un suggerimento. Perché il terrore che a volte ti assale davanti agli scaffali delle librerie, fa tremare le gambe. Si stendono file policrome di titoli, autori, brillanti copertine, volumi massicci, trilogie, seguiti, critiche, saggi, in una carrellata dove le lettere perdono senso e bisogna fare affidamento ad un titolo noto, un libro già letto, per cercare un ormeggio sicuro. Quella volta sono entrato, deciso a non farmi trascinare da quel naufragio e ho subito chiesto il suo aiuto. Ha provato a sondare un genere, forse mi ha chiesto quali autori preferisco, ma non c'è stato niente da fare. Accompagnandomi con un bel paio di mani aperte, ho affidato alla sua esperienza l'ingrato compito di stupirmi. Ci ha pensato un po', ha sistemato alcune copie fuori posto, e poi ha preso un libricino dicendomi che lo amava molto e che lo stava rileggendo. Lo ha aperto alle prime pagine e mi ha detto di leggere la premessa.
L'unica cosa che si può dire è che le cose capitano e noi dobbiamo lasciarle capitare. Ma queste cose che capitano hanno la virtù principale di sfracellarci la testa. Ugo Cornia, Sulla felicità a oltranza. Ha cercato di spiegarmi la storia: non si tratta semplicemente della trama. È come sa raccontarti quella cosa, che conta. Quella cosa che hai visto, sentito, pensato una volta o mille e non riesci a descriverla. È quel pensiero di Pavese appiccicato nella libreria triste della stazione di Pescara che non ti ha più lasciato. Adesso l'hanno tolto, quel poster. Il mio amico libraio mi ha detto: è la storia di lui che perde la zia ed i genitori in un arco di tempo velocissimo, quando non ha nemmeno trent'anni. E poi, dopo questa breve sintesi, non sapeva che altro aggiungere. Non so nemmeno io che cosa aggiungere, non riesco a compilare una recensione o a riassumere tutto quello che c'è in queste piccole pagine. Mi ha aiutato a capire certe cose che sono successe, e a farmele guardare come non avevo ancora fatto.
Ti coglie un senso di sorpresa, anche se avevi previsto già tutto,e da quel momento c'è qualcosa che ti afferra alle spalle sollevandoti a pochi centimetri dal terreno. Mentre te ne stai a penzolare, il tempo e i luoghi cambiano come piccoli scatti di un cubo di Rubik. Nel libro c'è una quotidianità che a tratti sento anche mia, ci sono le strade e gli incroci col semaforo dove splende una illogica allegria, come cantava Gaber. Anche lì, a due passi da un burrone, non siamo riusciti a realizzare quanto ci facesse stare bene qualcuno, abbiamo alimentato una speranza e cercato di infondere coraggio perché ci sembrava l'unica cosa giusta da fare. Cercare di rispondere con forza non fa altro che aumentare la spinta all'indietro che schizzerà come un elastico, un attimo dopo che i nostri piedi avranno di nuovo poggiato per terra. Non sei più tu, qualcuno dice, e con rabbia ammetti che ha ragione e allo stesso tempo lo abbandoni, perché sai che è la cosa più sensatamente stupida che vuoi sentirti dire. Fai del male senza saperti scusare, un giorno vale l'altro, dove ero in quel momento? È vero allora che non ero veramente io?
C'è una teoria psicologica che si chiama confederazione delle anime. Ne parla anche il dott. Cardoso a Pereira, spiegando che il nostro essere è il risultato di un io egemone che si impone sugli altri. Alle volte sorge un altro io egemone che spodesta quello dominante e ne prende il posto. Per attacco diretto o per erosione. Sono le cose che capitano, a dare una svolta al nostro modo di essere. Le tante anime che collezioniamo non se ne stanno buone a chiacchierare tra di loro, ogni tanto rispuntano a fare lo sgambetto a quell'io che abbiamo deciso di indossare a un certo punto. Quando rileggo quella premessa sono felice di non trovarci la parola accettazione. Mi fa pensare che ci sono cose che vanno prese e fatte a pezzi più piccoli, masticate e ingoiate con una smorfia. In questo libro i bordi sono lisci, tutto il carico di vita da poggiare sulle spalle è levigato come sembra il mare sfiorato dal palmo di una mano. E nella felicità ad oltranza si ritrova l'amore, quello taciuto, quello che precede e a volte succede. È l'amore taciuto, non dichiarato e presente, mai sfiorato dalla voglia di dire "noi", una scelta che delimita il confine tra spensieratezza e dichiarazioni mai fatte. Ci sono delle cose ferme a certi anni che non riesco a muovere, dove non si posa mai la polvere.
E' così che il ragazzo che fa il libraio è diventato mio amico. Lui non lo sa, e non sa quanto mi abbia fatto stare bene il suo consiglio. Immagino il finale di Casablanca, dove Rick e Renault si allontanano nella nebbia, lasciando noi ad immaginare un futuro di leale amicizia e sigarette.
Dovrei dirglielo, al mio amico libraio, invece giammai.
Alessio MacFlynn
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