Per raccontare un libro come Trilogia della città di K. verrebbe da tirare in ballo una citazione presa da Lessico Famigliare, di Natalia Ginzburg: Le poesie erano dunque così: semplici, fatte di niente; fatte delle cose che si guardavano.
Trilogia della città di K. è un libro pieno di cose semplici, di azioni, che sembrano fatte di niente. Un libro pensato e scritto nella lingua dei bambini, una lingua che si scopre lentamente e si costruisce in modo ruvido e scarno. Per inventare questa lingua, Agota Kristof ha dovuto dimenticare la sua e usarne una che non padroneggiava. Una sensazione di smarrimento che immediatamente ribalta le posizioni, un'esperienza che forse si prova solo da bambini o quando si è costretti a fuggire per cercare rifugio in un paese che non è il nostro.
Sono trascorsi ottant'anni dalla nascita di Agota Kristof. In questa registrazione del 1989, l'autrice legge alcuni estratti da Il grande quaderno, il primo libro della Trilogia della città di K. Tre anni dopo sarebbe stato pubblicato il volume che avrebbe chiuso il ciclo narrativo. La traduzione è di Armando Marchi (Einaudi).
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