Schopenhauer, la politica, e l'arte di frodare le menti.


"Dico ego, tu dicis, sed denique dixit et ille. Dictaque post toties, nil nisi dicta vides"
(Lo dico io, lo dici tu, ma, infine, lo dice anche quello. Dopo che lo si è detto molte volte, nulla vedi se non quello che è stato detto).
Goethe. Esergo alla "Parte polemica" della Farbenlehre

(Ammetto di aver dovuto cercare la parola "esergo").

Ho appena terminato la lettura di un trattatello di Arthur Schopenhauer dal titolo L'arte di di ottenere ragione esposta in 38 stratagemmi.
Non nascondo di essere nuovo alle letture filosofiche, ma il testo in questione, per la sua chiarezza espositiva e l'argomento non particolarmente complesso, ha suscitato in me un grandissimo interesse.
Tentando di spiegare in breve di cosa tratti, lo si può recensire come un testo necessario a tutti coloro che intendano non "perire" nelle controversie dialettiche.
Infatti, i 38 stratagemmi altro non sono che la stesura formale di tutti i trucchetti più o meno leali che le persone mettono in atto pur di non uscire con torto da una discussione.
Come dallo stesso autore sottolineato, egli non si propone di essere originale, ma la sua vuole essere una sintesi organica di quanto detto da altri grandi pensatori, con l'aggiunta di variazioni sul tema finalizzate all'approfondimento, ed esempi presi dalla sua esperienza
Molti sono, infatti, i riferimenti ai Topoi di Aristotele, al Faust di Goethe, a Machiavelli, e ad altri.

Il titolo della prima pubblicazione del trattato (avvenuta dopo la morte dell'autore) era Eristik (Eristica).
L'eristica, o meglio, la dialettica eristica, non è altro, appunto, che l'arte di ottenere ragione.
Devo ammettere che durante la lettura ho incontrato alcuni stratagemmi di cui più o meno inconsciamente faccio uso nel discutere e di cui, a volte, ci sarebbe da vergognarsi.

Arriviamo al titolo del Post
Nel leggere che, come ci spiega l'autore, la natura umana è estremamente suscettibile per quel che riguarda l'intelligenza, e che, quindi, difficilmente si ha l'onestà intellettuale di ammettere la propria sconfitta, si capisce come, generalmente, il fine delle dispute dialettiche non sia la verità oggettiva, e la sua scoperta attraverso il confronto, bensì la pura e semplice ricerca della supremazia nel disputare.
In poche parole, si capisce come non sempre basti avere ragione per ottenerla, e come, a volte, non sia neanche condizione necessaria l'averla.

Nel leggere di queste scorrettezze morali mi è subito venuta in mente la politica.
Questa, intesa nel senso proprio di gestione della polis (città), quindi, in senso più ampio, del bene comune, ha come elemento fondante il confronto tra opinioni divergenti, quindi, la dialettica.
Mi è venuto da pensare che il dibattito politico diventi tanto più eristico quanto più c'è necessità di essere persuasivi, e la possibilità di esserlo in maniera fraudolenta.
Intendo: in un'oligarchia illuminata, in cui le decisioni vengano prese da poche menti che sappiano il fatto loro, è piuttosto difficile che l'una riesca a prevalere sull'altra pur non avendo buone argomentazioni.
In una democrazia, invece, specie se il popolo non è preparato sugli argomenti dei quali si disquisisce,risulta molto più semplice, anche grazie all'autorità che si è guadagnata presso l'uditorio, far valere delle tesi fallaci attraverso stratagemmi insulsi.
Infatti, come ci dice lo stesso Schopenhauer citando il De vita beata di Seneca:
unusquisque mavult credere quam judicare (ognuno preferisce credere che giudicare).
Spessissimo capita di ascoltare, ad esempio nelle trasmissioni di approfondimento, politici che, a buone argomentazioni, evitino, perché incapaci, di portare una instantia ad rem, ossia, una risposta che entri nel merito dell'argomento confutandolo, preferendone una ad hominem, ossia, ricorrendo allo stratagemma di appellarsi a quanto fatto o detto in precedenza dall'interlocutore, in modo tale da screditarlo, anche se poco pertinente all'argomento trattato.
Oppure, capita altrettanto spesso che si operi una mutatio controvertiae, ossia, il tentare di dirottare il discorso su un binario differente perché ci si rende conto che su quello sul quale ci si trova non si hanno speranze.
Oppure, ancora, il ricondurre le affermazioni dell'avversario a categorie invise all'uditorio senza avere la minima intenzione di confutarle ( mi viene in mente l'abuso di epiteti come "comunista", "massimalista" o "marxista-leninista").
Infine, lo stratagemma che più uccide la politica è quello di portare un argomentum ad personam, ossia, diventare oltremodo offensivi nei confronti della persona con la quale si sta interloquendo, semplicemente perché ci si rende conto di non avere alcuna possibilità di spuntarla.
Se ne deduce che l'unico modo di non essere frodati intellettualmente e, perché no, realmente, visto che anche una frode reale deriva da una carenza di conoscenza, è quello di ferrarsi sul maggior numero possibile di argomenti e di pretendere sempre delle risposte puntuali ed attinenti.
D'altronde, anche quel grande maestro di pedagogia qual'era Don Milani sosteneva questa massima sacrosanta: "una parola che non imparate oggi è un calcio nel culo che prenderete domani"

La motivazione della necessità di saper discernere i ragionamenti autentici da quelli capziosi la si comprende anche nella lettura della postfazione del trattato, ad opera di Franco Volpi.
Nel ricercare l'origine della dialettica, esso la colloca al momento della nascita della democrazia ateniese.
Per i greci in generale, ma soprattutto per gli ateniesi, l' isonomìa (uguaglianza di fronte alle leggi), tratto fondante della democrazia, dipende strettamente dall' isogorìa, ossia, la pari libertà di difendersi in pubblico, quindi, per estensione, di esprimere le proprie opinioni.
Tuttavia, alcuni critici della democrazia, come Isocrate, vedevano in questa sacrosanta libertà il pericolo di parresìa (il parlare per il parlare), che poneva in grado chiunque di credere di poter avere voce in capitolo.
Dunque, si diffidi dai ciarlatani, si sappia riconoscerli, e, nel rispetto di opinioni divergenti, si discuta solo con coloro ai quali si riconosce un briciolo di onestà intellettuale.

Massimo McMutton

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